Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
“Chi va lontano dalla sua Patria, speme/ in Dio sol ponga, ne in alcun parente/ Per cui quivi il meschin si dole, e teme.” Con questa terzina, che accompagnava la versione originale del disegno, Federico introduce la narrazione della prima delle vicende che caratterizzano i difficili esordi romani del fratello. Appena giunto a Roma, il giovanetto in cerca di sistemazione si rivolge a un suo parente, Francesco Nardini detto il Santagnolo, cugino del padre Ottaviano: “[…] accostatosi a Francesco congominato il Sant’Agnolo, il quale lavorava di grottesche con Perino del Vaga a Giornate, se gli raccomandò con umiltà, pregandolo che volesse, come parente che egli era, aiutarlo. Ma non gli venne fatto, perciochè Francesco, come molte volte fanno certi parenti, non pure l’aiutò né di fatti né di parole, ma lo riprese e ributto agramente” Nonostante la lettera di presentazione che Taddeo porta con sé, il Santagnolo lo respinge malamente, gettandolo in grandissimo sconforto: quest’ultimo è qui rappresentato elegantemente vestito nel suo studio, a sottolineare ancor più l’odiosità del rifiuto, che fu dovuto in realtà alle precarie condizioni in cui lui stesso, arrivato a Roma neanche un anno prima, ancora versava . Ecco la prima delle dure prove che Taddeo dovrà affrontare negli anni della sua formazione romana. Nel disegno la figura del giovanetto è ripetuta più volte per condensare, in un’unica scena, la complessità di un racconto; le posture e gli atteggiamenti sono carichi di immediatezza espressiva, secondo l’attitudine didascalica di Federico e quel gusto per i dettagli che si nota anche nell’ambientazione romana dell’episodio. Sullo sfondo Taddeo compare due volte in scala minore: una sulla sinistra mentre copia gli affreschi di una facciata, l’altra, sulla destra, mentre è intento forse a macinare i colori. Infatti, come narra Vasari, nonostante il rifiuto del Santagnolo, “[…] non per tanto non si perdendo d’animo, il povero giovinetto, senza sgomentarsi, si andò molti mesi trattenendo per Roma, o, per meglio dire, stentando, con macinare colori ora in questa ed ora in quell’altra bottega per piccol prezzo, e talore, come poteva il meglio, alcuna cosa disegnando” Nella difficoltà di trovare un maestro presso la cui bottega eseguire l’apprendistato, il giovane non si scoraggia e, perfetto “exemplum vitutis”, si forma come autodidatta attraverso la pratica del disegno e la copia delle opere di grandi artisti, ocme le facciate affrescate da Polidoro da Caravaggio, facilmente accessibili e fonte di grande ispirazione per Taddeo; il palazzo che compare nel disegno sembra identificabile, per la sa forma a “L”, con Palazzo Ricci, affrescato da Polidoro prima del 1532. Lo Zuccari più tardi si cimenterà in prima persona in questo genere di pittura; non a caso il disegno finale della serie (The Getty Museum, inv. 99.GA.6.19), che segna l’inizio della sua fortuna, rappresenta proprio la sua prima commissione importante e autonoma, la decorazione della facciata di Palazzo Mattei