Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
“Ecco ch’il tempo gl’è tolto a costui/ ch’ha di studiare, e di virtù desio,/ Ma come ei se ‘l riacquisti osserva lui”. Grazie al confronto con la serie conservato oggi al Paul Getty Museum, che permette di ricostruire gli endecasillabi, presenti solo nella parte terminale nell’iscrizione del nostro foglio, è possibile apprezzare pienamente il saldo impianto compositivo con cui Federico, attraverso rimandi visivi e testuali, aveva voluto illustrare le vicende della giovinezza di Taddeo: i richiami tra le rime, legate a ogni immagine, secondo elementari regole mnemotecniche, incatenano lo svolgersi degli eventi figurati nei quattro disegni del gruppo, corrispondenti all’esperienza che di Taddeo aveva avuto presso la bottega di Giovanni Pietro Calabrese (cfr. scheda dell’inv. 10996 F). L’apprendistato presso il Calabrese, il cui vero cognome era Condopulo, pittore iscritto alla Compagnia di San Luca già prima del Sacco di Roma , fu tutt’altro che semplice. Solo la capacità di Taddeo di sopportare Fatiga e Servitude, figure allegoriche che Federico in un altro disegno (Gallerie degli Uffizi, GDS, inv. 11009 F) affianca alle storie narrate, gli permisero di superare quei momenti angusti descritti anche da Vasari: “non pure lo facevano macinare colori giorni e notte, ma lo facevano, non ch’altro patire del pane; del quale acciò non potesse anco avere a bastanza né a sua posta, lo tenevano appiccato al palco con certi campanelli che, ogni poco che il paniere fosse tocco, sonavano e facevano la spia”. Alla privazione del nutrimento materiale si sommava una privazione anche di quello intellettuale, dato che la meschinità del maestro non permetteva a Taddeo neanche di visionare opere eccelse in suo possesso utili per la formazione dell’allievo: “Ma questo avrebbe dato poca noia a Taddeo, se avesse avuto commodo di poter disegnare alcune carte che quel suo maestraccio aveva di mano di Raffaello di Urbino” . La perfetta corrispondenza tra la descrizione vasariana e la traduzione figurativa zuccaresca del foglio ‘Taddeo in casa del Calabrese’ (Gallerie degli Uffizi, inv. 10993 F), non solo permette di riscontrare un’unica fonte delle due testimonianze – presumibilmente Federico stesso -, ma amplifica anche il rapporto tra immagine e testo nella serie sulla giovinezza di Taddeo: da un lato la versione poetica delle rime, dall’altro la trasposizione letteraria delle ‘Vite’ vasariane. Alla scena notturna chiusa tra le pareti dell’interno domestico, risponde l’apertura diurna del nostro, in cui Taddeo, nonostante sia mandato dalla moglie del Calabrese, “fastidiosa donna” a sbrigare molte commissioni, riesce, come sottolineato dalla terzina, a trovare una soluzione alternativa volta a soddisfare il suo desiderio di conoscenza: lo studio, l’apprendimento vero si svolge per le piazze, tra le strade della città. Come nel foglio GDSU inv. 11012 , l’attenzione del giovane Taddeo si fissa sulle facciate dipint dei palazzi, presumibilmente di fronte a un altro lavoro di Polidoro, come quello perduto al numero 20 di vicolo del Gallo . I continui riferimenti di Federico alle privazioni inflitte al fratello erano volti programmaticamente a ribadire l’importanza e la necessità di un’istituzione che fosse capace di accogliere e formare nel miglior modo possibile giovani artisti. Alla denuncia del sistema delle botteghe da seguito l’impegno profuso da Federico durante il suo principato (1593-1594) nella rinnovata Accademia di San Luca, che aveva sede proprio nel palazzo Zuccari sul Pincio a Roma e che, secondo la sua volontà testamentaria, avrebbe dovuto divenire luogo di soggiorno e incontro per giovani artisti forestieri. (Scheda a cura di Maria Elena De Luca, pubblicata in Firenze 2009-2010; redazione del testo per la pubblicazione sul sito del Progetto Euploos a cura di Aliventi R.). Per ulteriori notizie sulla serie si rimanda alla scheda dell'inv. 10996 F.