Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
L’inv. 11331 F è un disegno preparatorio per il dipinto con la ‘Chiamata di sant’Andrea’, datato 1583 e destinato all’Oratorio della Confraternita di sant’Andrea a Pesaro . In base a quanto narra Giovanni Pietro Bellori nella Vita dell’artista , la pala venne commissionata nel 1580 direttamente da Lucrezia d’Este che, tornata alla corte di Ferrara dopo il divorzio dal duca d’Urbino Francesco Maria II, si dimostrava ancora legata all’Oratorio pesarese . La tela, oggi conservata a Bruxelles (Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique), venne talmente apprezzata che lo stesso duca richiese a Federico la realizzazione di una copia da inviare come dono a Filippo III, re di Spagna . Per il dipinto ci restano numerosi disegni, la maggior parte dei quali incentrati sui due protagonisti posti in primo piano, Cristo e sant’Andrea. Grazie a questo cospicuo gruppo è possibile individuare le modalità procedurali adottate da Barocci per mettere a punto le figure. Dei fogli giunti a noi, l’inv. 11331 F, conservato al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (d’ora in avanti GDSU), è stato concordemente considerato il primo studio per l’analisi dei rapporti spaziali tra le due figure principali. Negli altri disegni, di cui sei presenti nella collezione fiorentina (invv. 11316 F, 11325 F recto e verso, 11362 F, 11363 F recto, 11418 F), l’artista esamina separatamente il Cristo e il santo e procede alla verifica graduale della posa, dei panneggi e dei singoli dettagli. Tutti i fogli del GDSU sopra menzionati, tranne il verso dell’inv. 11325 F che all’epoca era coperto dal vecchio controfondo ora rimosso, vennero messi in relazione con la ‘Chiamata di sant’Andrea’ da August Schmarsow nel suo importante contributo del 1909. Cinque dei fogli sopra menzionati vennero esposti durante la mostra tenutasi a Firenze nel 1912-1913; nel rispettivo catalogo quattro di essi presentano il corretto riferimento alla ‘Chiamata’, mentre l’inv. 11362 F risulta preparatorio per il ‘Noli Me Tangere’, opera più tarda dell’artista urbinate , in cui la posa del Cristo presenta analogie con quella qui esaminata. Tale indicazione non viene poi recepita nella successiva bibliografia e risulta corretta, con una nota manoscritta a opera di Odoardo H. Giglioli, anche nell’inventario dei ‘disegni di Figura in armadio dal N. 1 al 18940’ degli Uffizi e nelle relative schede di consultazione. Dalla monografia di Harald Olsen (1955 e 1962) fino ai giorni nostri, il legame tra questi fogli e il dipinto pesarese non è mai stato messo in dubbio . Nell’inv. 11331 F, che rappresenta come detto sopra il punto di partenza dell’elaborazione, la figura di sant’Andrea, inginocchiata e vista frontalmente, è ripetuta per due volte consecutive. La reiterazione permette all’artista di fissare in modo più definito la posa, anche in rapporto a quella di Cristo. Negli studi successivi l’impostazione spaziale appare letteralmente ribaltata. Tale mutamento di prospettiva porta l’artista a creare un dipinto caratterizzato da una costruzione diagonale estremamente equilibrata, che risponde anche alle specifiche esigenze della narrazione sacra. Gesù, non più di spalle e volto verso lo spettatore, diviene il fulcro della scena e sant’Andrea, con il suo profilo scorciato, incarna perfettamente l’idea dell’uomo folgorato dal messaggio divino. Per Marciari e Verstegen, l’inv. 11331 F rappresenta l’unico caso, all’interno del “corpus” baroccesco, in cui un gruppo di figure, e non una solamente, è studiato dal vero sul modello nudo. Questo modo di procedere trova rispondenza nella testimonianza fornita da Bellori secondo il quale l’artista intento a comporre una scena con più personaggi “adattava li giovini insieme all’azzione” . In realtà, come ha ben evidenziato Claudio Pizzorusso (2009, p. 61), la rotazione delle figure, particolarmente visibile accostando l’inv. 11331 F e l’inv. 11316 F (sempre agli Uffizi), sembra piuttosto suggerire l’uso di piccoli modelli di cera o di creta, altro passaggio descritto dal biografo romano. La prassi di ricorrere a tali modellini non sembra dunque essere solamente finalizzata all’analisi naturalistica dei panneggi; essa permetterebbe anche di comprendere lo sviluppo tridimensionale delle forme, con una sensibilità molto affine a quella di uno scultore. Dal foglio iniziale Barocci passa a esaminare, in controparte e con un movimento rovesciato degli arti, la figura del santo. In questa nuova soluzione la posa appare meno sbilanciata e dunque più solida, ma non statica grazie alla leggera torsione del busto e all’inclinazione della testa. L’attenzione per la resa anatomica si associa all’interesse per i contrasti chiaroscurali e la netta ombra portata, che si staglia davanti al corpo, fa già trasparire l’idea, poi mantenuta anche nel dipinto, di creare un’intensa luce posizionata fuori dalla tela e proveniente da destra. La presenza della quadrettatura presuppone che Federico abbia trasportato su altri fogli la figura per poterla nuovamente studiare, magari sul modello panneggiato. Purtroppo di questi passaggi non resta alcuna testimonianza, ma sono giunti a noi quattro disegni, dove l’interesse è incentrato su singoli dettagli, in particolare la posizione della gamba sinistra, quella delle braccia (Berlino, Kupferstichkabinett invv. KdZ 20132, KdZ 20133) e il profilo della testa (Berlino, Kupferstichkabinett invv. KdZ 20029 e Firenze, GDSU inv. 11397 F; per i disegni di Berlino si consulti il sito link) . La serie di studi per il Cristo è decisamente più completa e ci permette di seguire in modo più agevole le varie tappe del processo creativo. Specularmente a quanto visto sopra, anche per questa figura Barocci, partendo sempre dall’inv. 11331 F, verifica separatamente la posa sul nudo, contraddistinto da un’anatomia molto marcata quasi vicina a un “échorcé” (Berlino, Kupferstichkabinett invv. KdZ 20445 e KdZ 20133). Egli poi procede, in quattro fogli conservati al GDSU, a un’accurata analisi delle vesti. Giovanna Gaeta Bertelà, in occasione della mostra fiorentina del 1975, coglie nella sequenza una progressiva messa a punto dei panneggi, concomitante a una resa sempre più dettagliata dei singoli elementi. In base a questo schema l’indagine, che inizia con i fogli invv. 11362 F e 11363 F recto, si conclude con gli invv. 11325 F recto e 11418 F. Quest’ultimo è definito la “prova più matura” che “ripropone la stessa espressione del volto e lo stesso atteggiamento” presente del dipinto . Di diverso parere è invece Cristiana Garofalo (Siena 2009-2010) che inverte gli ultimi due passaggi, ritenendo il recto dell’inv. 11325 F più simile alla soluzione finale e allo studio conservato a Berlino inv. KdZ 20134, dove vengono verificati i dettagli del manto e del piede. Alla definizione del panneggio e della mano destra sono dedicati, inoltre, altri due studi: l’inv. KdZ 20135 al Kupferstichkabinett di Berlino e l’inv. 11325 F verso al GDSU di Firenze. Stabilire con certezza quale sia il momento finale dell’elaborazione risulta particolarmente complesso, anche perché in nessun foglio vi è una raffigurazione esattamente speculare, in tutti i dettagli, a quella presente nella pala . La serie offre un interessante spunto per evidenziare sia la stretta correlazione esistente tra un passaggio e l’altro dell’elaborazione sia il modo di precedere dell’artista nella definizione di specifici aspetti formali ed espressivi. Negli invv. 11362 F e 11363 F recto la figura è semplicemente una traccia stilizzata, un punto di riferimento per costruire il manto che l’avvolge, elemento su cui si incentra la riflessione. Particolare risalto è dato alla luce. Nel primo disegno l’abito è essenzialmente un’impressione luministica; da questa raffigurazione quasi astratta si passa, nel secondo, a una resa più naturalistica, caratterizzata da un’attenta indagine degli effetti chiaroscurali. Su tale foglio convivono altri due studi, uno per il braccio destro e uno per la gamba sinistra, nei quali Barocci procede alla messa a punto dello scorcio degli arti e della veste sottostante al manto. Anche negli altri due disegni, invv. 11325 F recto e 11418 F, sebbene la figura sia esaminata nel suo complesso, la resa del volto e degli arti superiori non risulta particolarmente dettagliata. Nell’inv. 11418 F, dove l’artista studia lo sviluppo spaziale della figura vestita, la luce gioca ancora una volta un ruolo decisivo. Grazie a un magistrale uso del gessetto bianco la forte impressione luminista tende, come ha evidenziato Marzia Faietti, a sfaldare e ad annullare il tracciato lineare sottostante . Nel disegno è, inoltre, presente una nuova riflessione per la gamba sinistra, in cui l’impostazione del piede risulta meno scorciata. Questa ipotesi non sembra però soddisfare Barocci, che adotta nel dipinto la soluzione analizzata negli studi sul nudo conservati a Berlino e vagliata anche nell’inv. 11362 F. La continua riformulazione, che inevitabilmente si costruisce anche attraverso i ripensamenti, è elemento fondante del processo creativo dell’artista urbinate, spinto da un bisogno, quasi ossessivo, di valutare ogni possibile variante, per ottenere un perfetto equilibrio compositivo ed espressivo . Per i veloci schizzi di panneggio, sempre individuabili nell’inv. 11418 F, condivido l’opinione di Cristiana Garofalo, che ritiene possano essere “soluzioni diverse per la resa dello scollo della veste di Cristo” oppure “per il dorso della camicia dell’apostolo” . Alla definizione dei volti dei due protagonisti sono infine dedicati due disegni, rispettivamente conservati alla Pinacoteca Nazionale di Brera di Milano (inv. 293/ ID) e al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (inv. 11397 F) . Entrambi sono realizzati a pastello, tecnica di cui Federico sfrutta a pieno le potenzialità espressive. Nella maggior parte degli studi di testa, come in quello di Milano sopra menzionato preparatorio per il Cristo, il “medium” usato in modo sfumato e delicato tende alla resa estremamente realistica dell’incarnato. Colpisce d’altra parte l’estrema libertà formale ed espressiva del foglio degli Uffizi. La fisionomia del volto è totalmente assorbita da un segno largo e sgranato del carboncino mentre con il pastello rosa, combinato alla pietra rossa e al gessetto bianco, Federico ricrea attentamente l’effetto dell’epidermide investita dalla luce. Dai disegni finora presi in considerazione appare evidente l’interesse dell’urbinate per gli effetti luministici e cromatici. Questa costante attenzione, che non rappresenta certamente una novità per il "modus operandi" adottato da Barocci, rispecchia il ruolo fondamentale svolto da tali aspetti nell’economia del dipinto. In esso infatti, come ha osservato Lingo, l’artista apre “a coloristic window onto the soul” . La composizione si costruisce essenzialmente attorno a due figure poste una di fronte all’altra seguendo un andamento diagonale, rafforzato dal movimento della barca verso il primo piano. La narrazione dell’evento sacro è determinata dal rapporto gestuale ed espressivo tra i due personaggi. Al colore e alla luce, che immergono le figure in un’atmosfera fatta di riflessi e restituiscono la mutevolezza cangiante del reale, è affidato il compito di mettere in risalto proprio lo stato emotivo delle figure. L’intersse per la luce e il colore negli studi grafici, più volte evidenziata, mostra chiaramente come per Federico disegno e pittura non costituiscano momenti separati della creazione. L’ambientazione marina e le relazioni tra Andrea inginocchiato e Cristo trovano, un prototipo negli arazzi realizzati su cartoni di Raffaello e destinati alla Cappella Sistina, in particolare quelli raffiguranti la ‘Consegna delle chiavi a Pietro’ e la ‘Pesca miracolosa’, menzionati da diversi studiosi per un raffronto con la pala di Barocci . Anche in questo caso, rispetto al modello raffaellesco, Federico riesce a rinnovare la scena non solo nella scelta di un’iconografia insolita, l’attenzione è infatti focalizzata su sant’Andrea posto in primo piano, e non su Pietro come comunemente avviene, ma anche per il modo in cui lo spettatore entra in empatia con l’episodio religioso. (Roberta Aliventi 2015)