Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Prima di essere restituito a Pellegrino Tibaldi nella prima metà del secolo scorso , almeno dal Seicento il disegno era ritenuto un’opera di Giovanni Francesco Bezzi detto il Nosadella: il numero complessivo delle opere grafiche presenti sotto questo nome nella ‘Nota de’ disegni’ del 1687 (ASFi, Guard. Med. 779, ins. 9, cc. 995-1027) non muta infatti rispetto al catalogo redatto da Giuseppe Pelli Bencivenni alla fine del Settecento ([1775-1793], GDSU, ms. 102), nel quale si trova anche la descrizione di ogni singolo esemplare. Anche se il foglio è disegnato su entrambi i lati, la fonte settecentesca menziona solo il recto: “Nettuno Sedente in / un Trono, a penna, e acquerel/lo” (Pelli Bencivenni [1775 - 1793]). È probabile, infatti, che fosse controfondato almeno fino al 1966, quando il restauro in occasione della mostra dedicata a Perin del Vaga e alla sua cerchia permise di scoprire lo schizzo di un tritone e cavalli marini sul verso . L’antica attribuzione a Nosadella testimonia la difficoltà nel delineare il profilo del bolognese, sensibile interprete del gusto tibaldesco, ma allo stesso tempo artista assai originale; parallelamente, indica che si era presto persa cognizione del legame di entrambi lati del foglio con la decorazione al pian terreno di Palazzo Poggi a Bologna, ricondotta da tutte le fonti a Tibaldi. Il recto è uno studio alquanto rifinito per la figura di Nettuno nell’episodio della Tempesta, affrescato in un riquadro sulla volta del Salone di Polifemo: un rapido schizzo in basso a destra sembra riferirsi alla medesima figura, rappresentata in scala inferiore e con una variante nella posizione del braccio destro; grande attenzione è riservata anche alla descrizione del carro, riccamente ornato, su cui siede il dio del mare. Rispetto all’opera pittorica, nel disegno sono presenti differenze significative nella posa della parte alta del busto, delle braccia e della testa della divinità. Queste varianti conferiscono alla figura una connotazione psicologica diversa: Nettuno sembra infatti divincolarsi tormentato sul trono, mentre nella realizzazione finale, nonostante la posa ugualmente bizzarra, egli appare calmo, quasi indifferente a ciò che accade intorno a lui. Nello studio preparatorio si manifesta con forza la componente parodistica, da poema tragicomico, individuata da Giuliano Briganti (1945) negli affreschi delle due sale dedicate a Ulisse. Tuttavia, nonostante la vena grottesca tipica nella produzione di Tibaldi, il risultato è raffinato, tutt’altro che popolare . Sul verso, uno schizzo a penna raffigura un altro dettaglio della medesima scena, quello del tritone e dei cavalli marini in primo piano: se il disegno sul recto è uno studio di figura assai particolareggiato, qui l'artista ha fissato velocemente su carta l’idea della composizione, senza soffermarsi sui dettagli. Tibaldi ha quindi realizzato, sulle due facce dello stesso foglio, due disegni a prima vista molto distanti tra loro per grafia e finalità; entrambi, però, nella scelta della tecnica a penna e inchiostro e nel segno fluido e sciolto, documentano l’eredità di Perin del Vaga nello stile grafico dell’artista, messa in luce soprattutto dagli studi di Bernice Davidson (Firenze 1966). L’annosa questione relativa alla datazione degli interventi di Pellegrino Tibaldi in Palazzo Poggi sembra essere stata parzialmente risolta. Vittoria Romani ha infatti sottolineato che nel Salone di Polifemo il monogramma e lo stemma del committente, Giovanni Poggi, non sono accompagnati dal cappello cardinalizio ; una simile omissione sarebbe improbabile se al momento della decorazione Poggi avesse già ricevuto la nomina a cardinale: poiché essa giunse, per volontà di papa Giulio III, il 20 novembre 1551, tale termine cronologico funge da ante quem per la datazione degli affreschi e, di conseguenza, per i relativi studi preparatori. Nell’incertezza che ancora aleggia sull’attività giovanile di Tibaldi, gli affreschi e i disegni per il palazzo bolognese costituiscono dunque un punto fermo, tanto che il foglio in questione è stato spesso citato in letteratura come termine di confronto per l’attribuzione di altre opere grafiche all’artista. (C. Valli, L. Da Rin Bettina, marzo 2024)