Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Nato ed educato a Bologna, Palmieri godette della protezione di Papa Benedetto XIV Lambertini, per il quale il padre e lo zio dell’artista avevano lavorato in qualità di custodi del casino di villeggiatura di Sasso Marconi prima della sua elezione al soglio pontificio. Secondo le fonti, trascorse un periodo di tempo presso il Seminario della città felsinea, per poi svolgere un alunnato di sei anni presso Ercole Graziani jr e divenire professore onorario dell’Accademia Clementina . Il principio di selezione a fondamento dell’imitazione, intesa come scelta razionale, equilibrata tra il reale e i modelli del passato e l’importanza primaria rivestita dal disegno, strumento di studio e ricerca, atto all’esercizio di copia delle opere degli antichi maestri , furono alla base della formazione di Palmieri, il quale manifestò, fin dagli anni giovanili, una conoscenza profonda sia dei maestri emiliani del Seicento e del Settecento, sia delle stampe di genere nordiche. Attraverso l’esercizio di copia dalle opere degli antichi maestri sviluppò un meccanismo critico di selezione dei modelli figurativi, poi rielaborati in composizioni nuove. Questo gusto, insieme all’interesse per lo scambio delle tecniche, fu tra le ragioni della chiamata a Parma di Palmieri e del suo successo negli ambienti del collezionismo parigino e torinese (a tal proposito si veda la scheda dell’inv. 12290 S). L’opera in esame e il suo pendant (inv. 12289 S), che paiono guardare alla maniera degli olandesi italianizzanti e in particolare di Jan Both, recano nell’iscrizione il riferimento alla nomina di Palmieri a professore di disegno dell’Accademia di Parma, ottenuta nel giugno 1771 per volontà di Guillaume-Léon Du Tillot, marchese di Felino. Quest’ultimo – primo ministro della corte di Parma sotto il governo dei duchi don Filippo di Borbone e Luisa Elisabetta di Francia, guidato da una politica laica e filoilluminista – pilotò il passaggio dall’area d’influenza spagnola a quella francese , anche grazie ai suoi appoggi diplomatici, tra i quali si annoverano Etienne François de Stainville, duca di Choiseul , e Jacques Laure Le Tonnelier, balivo di Breteuil . Du Tillot riorganizzò la pubblica amministrazione, dando impulso all’economia e alla cultura, servendosi di intellettuali di elevata statura, come Paolo Maria Paciaudi e Carlo Innocenzo Frugoni, primo segretario della neofondata Accademia di Belle Arti . La politica artistica della corte sotto il governo Du Tillot rivela un forte orientamento filofrancese, negli acquisti di opere d’arte, nella chiamata a corte di artisti di nazionalità francese, spesso individuati su suggerimento del conte di Caylus , nell’incoraggiamento dato ad artisti legati alla corte a trascorrere soggiorni di perfezionamento a Parigi. Tra questi il pittore Giuseppe Baldrighi e più tardi l’incisore Pietro Antonio Martini. A quanto apprendiamo dal catalogo della vendita parigina della collezione Du Tillot, dall’inventario stilato nel 1790 dei beni dell’appena defunto Liborio Bertoluzzi, valet de chambre del marchese di Felino e dalla corrispondenza tra quest’ultimo e lo stuccatore, incisore e pittore Benigno Bossi , il ministro parmense era attento al disegno, alla pittura di paesaggio contemporanea (in particolare a Claude Joseph Vernet e Huber Robert), al genere delle battaglie (soprattutto Francesco Simonini) e alle opere fiamminghe e olandesi, un gusto che rispecchia una tendenza ormai consolidata nell’ambito del collezionismo parigino e in linea con gli interessi di Palmieri . Tre opere della sua collezione – ‘Teseo ritrova le armi del padre’ di Nicolas Poussin, oggi al Musée Condé di Chantilly, ‘Giove e Antiope’ di Anton Van Dyck, ma al tempo ritenuto originale di Rubens (oggi noto in due versioni conservate rispettivamente a Colonia e Gand), la ‘Vielle insensée’ da un dipinto non rintracciato ma probabilmente da riferirsi a Willelm Van Mieris – sono riprodotte in stampe sciolte da Simon Jean François Ravenet e dedicate a singoli personaggi . Se quest’ultima è un’operazione piuttosto comune tra i collezionisti di un certo livello , risulta invece innovativa la pratica che lega Palmieri e Du Tillot: chi scrive ha avuto modo di constatare, a partire dall’esame della corrispondenza tra Liborio Bertoluzzi e Benigno Bossi, che Palmieri veniva abitualmente incaricato dal marchese di Felino di realizzare copie grafiche di dipinti facenti parte della collezione dello stesso Du Tillot o di altri collezionisti . In un caso è stato inoltre possibile individuare uno dei frutti di questa operazione in un disegno a penna in collezione privata da un dipinto di Adrien Manglard; il disegno è realizzato con tratti a penna sottili e incrociati a imitazione degli effetti dell’incisione, cui rimanda la quadratura della zona disegnata e l’apposizione delle firme dell’inventore e dell’autore, in un gioco intellettualistico di scambio delle tecniche su più livelli, che pare voler affermare l’emancipazione del disegno dalle altre tecniche artistiche. Commissioni per certi versi analoghe erano state ricevute da Gaetano Gandolfi, cui venne affidata – in un caso dal bolognese Antonio Buratti, in un altro, tramite l’intermediazione del bibliotecario reale inglese Richard Dalton, Giorgio III d’Inghilterra – la realizzazione di disegni che riproducessero opere di maestri del Seicento . Sono inoltre assimilabili sotto alcuni aspetti agli album di disegni che vedono protagonisti Jean Robert Ango e il balivo di Breteuil , il quale, come detto, fu legato a Du Tillot personalmente e politicamente. Dopo la morte di Du Tillot, avvenuta alla fine del 1774, Palmieri si trattenne a Parigi fino alla primavera del 1778, dove fu in rapporto con figure cardine della vita artistica francese del suo tempo, come Johann Georg Wille e di Pierre François Basan. Vendeva i suoi lavori sia direttamente, sia tramite intermediari ed era apprezzato da un ambiente di artisti, mercanti e conoscitori, che si dimostrò in grado di comprendere i tratti distintivi del suo lessico. I cataloghi di vendita parigini settecenteschi dimostrano infatti che i conoscitori erano consapevoli del gioco di imitazione delle tecniche grafiche svolto dal bolognese nei suoi fogli e che questi ultimi erano destinati a essere esposti . A seguito del cambio di rotta politica e culturale dovuta all’arrivo a Parma della nuova duchessa, Maria Amalia d’Asburgo-Lorena, Du Tillot, a partire dal 25 settembre 1771 – solo tre mesi dopo la nomina di Palmieri a professore dell’Accademia di Parma –, sarà estromesso dalla sua carica e confinato nella sua dimora di Colorno, al cui seguito troviamo anche il suo valet de chambre Liborio Bertoluzzi. Il 19 novembre dello stesso anno Du Tillot fuggirà da Colorno per rifugiarsi prima in Spagna e in seguito a Parigi, dove morirà il 13 dicembre 1774. Nel gennaio 1773 Palmieri si era trasferito nella casa parigina di Du Tillot e si tratterrà in Francia fino al marzo 1778, per poi spostarsi a Torino, dove nel 1802 otterrà la cattedra di disegno in Accademia. Nella capitale piemontese, così come era avvenuto in Francia, resta indissolubilmente legato al mondo dei collezionisti e prosegue il percorso iniziato già a Bologna e chiaritosi a Parma e a Parigi, verso l’indipendenza del disegno, perseguita attraverso una maestria tecnica e una cultura figurativa eclettica e sterminata, che gioca con i gusti del mercato ai quali sa intelligentemente andare incontro. Nell’opera in esame e nel suo pendant, la menzione del titolo accademico conseguito a Parma fa pensare a una produzione a ridosso dell’anno di nomina, il 1771. Ciò anche in quanto conosciamo un nutrito nucleo di disegni dell’artista stilisticamente affini e recanti la stessa sottoscrizione, spesso accompagnata dalla data 1772 o 1773 . Il continuo riferimento in questo gruppo di disegni al titolo accademico può indurre a sospettare che Palmieri, negli anni difficili tra la caduta del suo potente protettore, avvenuta a pochi mesi dalla nomina, e il trasferimento a Parigi al principio del 1773, avesse necessità di promuoversi. A un periodo di difficoltà in questo caso economica fa pensare l’esecuzione rapida di alcuni di questi fogli, non sempre tra i più rappresentativi dell’attività dell’artista e caratterizzati, come i due in esame, da un sapore meno intellettualistico rispetto ai virtuosistici e raffinati disegni a tratteggio sottile e incrociato che resteranno sempre un tratto distintivo del lessico di Palmieri. (C. Travisonni, aprile 2023)