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Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi

Scheda Catalogo "1314 E"

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Scheda aggiornata al 09-07-2024
Opera 1314 E
  • inv. 1314 E
  • Antonio di Donnino del Mazziere (1497/ 1547)
  • attribuito
  • Paesaggio con castello, alcune case e due figure
  • Categoria: Esposti
  • Datazione: sec. XVI
  • Tecnica e materia: pietra rossa su carta
  • Misure: 276 x 207 mm
  • Filigrana: giglio (non in Briquet)
  • Stemmi, emblemi, marchi: timbro a inchiostro di collezione: Reale Galleria degli Uffizi (Lugt 930) sul recto in basso a destra

Iscrizioni

  • autore ignoto di epoca antica: "6 [?] [numero iscritto in un cartiglio]", a pietra rossa sul recto in alto a destra
  • A. di Donnino del Mazziere (?): "Paese et palazzo de’ Tegliaci", a pietra rossa sul recto in basso al centro
  • A. di Donnino del Mazziere (?): "Questo libro schomincio/ adi 30 dagosto 1527 [frase iscritta in un cartiglio]", a matita rossa sul recto in basso
  • autore ignoto ottocentesco: "3", a matita nera sul verso al centro

Notizie storiche e critiche

La scritta “questo Libro si chomincio adi 30 dagosto 1527” induce a riconoscere nell’inv. 1314 E il frontespizio del cosiddetto ‘taccuino di paesaggio’ conservato mutilo e smembrato agli Uffizi. La serie, nota fin dagli anni Settanta dell'Ottocento , presenta una vicenda attributiva alquanto complessa: superato il tradizionale riferimento ad Andrea del Sarto , essa è stata ascritta, nel corso del XX secolo, alla bottega sartesca , a Ubertini detto il Bachiacca e al Maestro dei Paesaggi di Kress, oggi identificato con Giovanni di Lorenzo Larciani . Attualmente, la critica risulta pressoché concorde nel restituire il ‘taccuino’ ad Antonio di Donnino del Mazziere, nome avanzato per la prima volta da Luigi Grassi (1963) . Tale ipotesi viene qui accolta seppur con qualche riserva, in quanto non supportata – come si approfondirà in seguito – da prove certe, ma solo da considerazioni di natura prettamente stilistica. Tra gli studi che hanno maggiormente contribuito ad avvalorare l’autografia del Mazziere vi è la tesi di laurea discussa da Vera Silvani nel 1992, interamente dedicata all’attività dell’artista fiorentino. Il lavoro di Silvani si rivela fondamentale anche per la ricostruzione del libro degli Uffizi; avvalendosi delle ricerche condotte in precedenza da Ingeborg Fraenckel e da Luisa Marcucci , la studiosa fissa a trentadue il numero dei disegni a esso riconducibili: invv. 10 P, 12 P, 16 P, 17-19 P, 21-25 P, 27-30 P, 32-34 P, 36 P, 36 P, 814 P, 1313-1316 E, 1318 E, 1355 E, 1357 E, 296 F, 6416-6417 F, 14564 F . Le indagini eseguite sui fogli per la redazione del presente testo convalidano questa proposta; le opere compongono, infatti, un insieme omogeneo per stile, tecnica, caratteristiche fisiche e soggetti raffigurati . Il primo elemento che accomuna i disegni è il tipo di carta, che appare abbastanza sottile e non di pregio ; la filigrana, un giglio fiorentino, ricorre in almeno undici pezzi . Le dimensioni medie sono di 270x200 millimetri e il formato del libro doveva essere, con una certa probabilità, quello dell’“in folio”: i filoni sono, infatti, sempre paralleli ai lati lunghi del supporto e la filigrana, quando gli studi non sono stati sensibilmente decurtati, è posizionata vicino al centro. Sebbene non si riscontrino segni di rilegatura, il contatto prolungato dei fogli tra loro sembra confermato dalla presenza, sul verso, di una macchia diffusa a pietra rossa. Quattordici disegni conservano traccia di un’antica numerazione, inserita all’interno di un cartiglio nell’angolo superiore destro ; secondo Fraenckel (1935) essa indicherebbe l’ordine originario delle pagine, ma le poche cifre leggibili non consentono di confermare tale teoria . Si potrebbe, addirittura, pensare che sia stata apposta in un secondo momento . Certamente autografe sono, invece, le numerose iscrizioni a pietra rossa e a penna e inchiostro, poste a corredo delle immagini; la grafia è la medesima dell’“incipit” vergato sul frontespizio (si veda la trascrizione all’inizio della scheda), grazie al quale possiamo conoscere l’anno di esecuzione del libro, ovvero il 1527 che ritorna anche sull’inv. 12 P . Come noto, la serie è composta principalmente da studi di paesaggio , tutti realizzati a pietra rossa e svincolati da una funzione strettamente preparatoria; nella maggior parte dei casi, le scritte che li accompagnano riportano il nome della località raffigurata; si possono così distinguere diverse zone dei dintorni di Firenze, ovvero la valle del Mugello (inv. 22 P; 33 P, 1318 P e 1355P) , la Certosa del Galluzzo (21 P) , il paese di Montebuoni (inv. 1357 E) e il ponte alla Badia (inv. 12 P) . Vicino al capoluogo toscano si dovrebbe situare anche il “paese e palazo de tegliaci”, delineato sull’inv. 1314 E, identificabile – secondo Marta Privitera – con l’odierna villa del Salviatino alle pendici della collina di Maiano, un tempo denominata “Palagio de Tegliacci” (per il disegno: link; mentre per gli altri fogli della serie schedati sul sito: link) . Si deve sempre a Privitera, l’ipotesi di individuare nell’inv. 1315 E una veduta del territorio di Montughi e nell’inv. 27 P la contrada di monte Domini, posta sulla riva destra del Mugnone, oppure il borgo di Lucolena . Il Mazziere descrive dolci colline disseminate di paesi e borghi fortificati, aree boschive con case coloniche e campi dove si ritrovano contadini al lavoro e pastori che guidano greggi di ovini. Si tratta, dunque, di una natura fortemente antropizzata e i soggetti sono assai simili a quelli ritratti in molteplici occasioni da Fra’ Bartolomeo, la cui opera rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per gli studi naturalistici del ‘taccuino’; egli fu, infatti uno dei primi artisti, assieme a Leonardo, a “manifestare interesse per i paesaggi, eseguiti per puro diletto personale” . La vicinanza a Fra’ Bartolomeo si rispecchia anche nel voler conferire alle vedute l’aspetto di riprese “en plein air”, impressione rafforzata dall’indicazione “da naturale” presente su tre fogli (invv. 24 P, 29 P, 38 P) . L’uso rapido e sintetico della pietra, che caratterizza tutte le composizioni, si associa però, a una costruzione dell’immagine ben meditata e la trascrizione del reale appare, spesso, filtrata dal ricordo e dall’immaginazione. Particolarmente significative a tale proposito sono le vedute di Porta san Gallo (inv. 32 P) e della Certosa (inv. 21 P). La prima mostra un tratto delle mura di Firenze, offrendo una testimonianza unica “delle modifiche apportate” fin dal 1526 “alle fortificazioni per difendere la città minacciata dagli Imperiali” (Sframeli 1996). Si tratta senza dubbio di una riproposizione molto fedele dell’ambiente circostante, ma l’accuratezza con cui la scena viene descritta induce a pensare che sia stata realizzata in bottega. La seconda è più chiaramente una ricostruzione fatta a tavolino, le proporzioni della Certosa appaiono, infatti, alterate e l’intera immagine è pervasa da un tono fiabesco, frutto di invenzione. D’altra parte, nel libro trovano spazio diversi studi di fantasia, tra cui una composizione con condottiero che arringa i soldati (inv. 6417 F) e un bellissimo combattimento di cavalieri (inv. 28 P), “memore delle varie derivazioni della celebre ‘Battaglia di Anghiari’ di Leonardo e tuttavia diverso anche da queste, solitamente più aggrovigliate” (Silvani 1992) . Lo schema deriva, forse, da un modello sconosciuto, riproposto anche in un disegno del British Museum (inv. 1897,0410.2, link), attualmente riferito sempre alla mano del Mazziere (cfr. Silvani 1992; Sframeli, in Firenze 1996). Si aggiungono, infine, otto disegni in cui si replicano brani sia paesaggistici che figurativi desunti dalle incisioni di Albrecht Dürer, e in particolare da quelle appartenenti alle serie della ‘Piccola Passione’ e della ‘Vita della Vergine’ . In diversi casi, le citazioni sono trascritte accanto alle vedute e riguardano dettagli minuti; basti pensare alla figura di spalle – tratta dal bulino ‘Pilato che si lava le mani’ (B. 11) – che si sovrappone a uno studio di albero (inv. 38 P) o alla poetica visione del veliero dell’inv. 819 P, riproduzione puntuale dell’imbarcazione visibile sullo sfondo de ‘Il mostro marino’ (B. 71) . Talvolta, invece, si ritrovano riuniti nello spazio di un unico foglio vari brani provenienti da differenti stampe; solitamente l’artista giustappone gli schizzi, lasciandoli indipendenti gli uni dagli altri (invv. 14654 F e 10 P) , ma nella veduta delineata nella parte inferiore dell’inv. 19 P egli unisce la fortificazione della ‘Madonna della pera’ (B. 41), con uno degli alberi del celebre ‘Ercole’ (B. 73) , dando così vita a una nuova composizione. Il modo di assimilare e di utilizzare le incisioni avvicina la produzione del Mazziere a quella di Andrea del Sarto che, a partire dalla metà degli anni Dieci del Cinquecento, divenne uno dei principali protagonisti nella ricezione e nella diffusione del repertorio düreriano a Firenze. Dal Sarto deriva anche la predilezione per la pietra rossa ; inoltre Mazziere tenta di far propria quella “nuova sintesi tra astrazione lineare e naturalezza luministica” rintracciabile nel collega fiorentino . Se l’appartenenza del libro alla cultura artistica fiorentina dei primi decenni del XVI secolo appare dunque più che evidente, l’attribuzione al Mazziere necessita, invece, di qualche considerazione aggiuntiva. Preziose informazioni ce le fornisce Giorgio Vasari in due passaggi delle ‘Vite’ ; lo storiografo aretino menziona l’artista tra gli allievi di Francesco di Cristofano detto il Franciabigio e ricorda che “fu fiero disegnatore” ed “ebbe molta invenzione in far cavalli e paesi”. Gli influssi stilistici elaborati nei disegni e messi in evidenza nel corso della scheda ben si accordano con la formazione del Mazziere presso la bottega del Franciabigio, dove poté assimilare modi vicini a Fra’ Bartolomeo e Andrea del Sarto; allo stesso tempo, le parole di Vasari si sposano con la qualità stilistica degli studi e l’interesse verso la raffigurazione del paesaggio e per la descrizioni di cavalieri in battaglia o che attraversano le campagne. Purtroppo, a oggi, non si conoscono altre prove grafiche di Antonio e la serie degli Uffizi può essere messa a confronto solamente con i pochi dipinti a lui ascrivibili . Sebbene nella sua opera pittorica non si rintracci mai una ripresa puntuale delle scene delineate sul ‘taccuino’, molteplici sono le assonanze che possono essere individuate. Ad esempio, nella tavola con ‘Il mito di Apollo e Dafne e il Mito di Narciso’ (Firenze, Galleria Corsini) il Mazziere si dimostra un “vivace e poetico paesista, con certe acutezze di effetti luministici che realizzano una sintesi tra figure e paesaggio”, proprio come avviene nei fogli fiorentini. Si osservi, inoltre, la corrispondenza nel modo di descrivere gli arbusti e il paese sullo sfondo e nel rendere le vesti mosse dal vento. Analoghi confronti si possono fare con l’‘Adorazione dei pastori’ di Castiglione Fiorentino e con le ‘Storie di Giuseppe’ attualmente conservata alla Galleria Borghese: le città turrite, i casolari, la natura e i gruppi di esili figure sono motivi che ricorrono in quasi tutti i disegni del libro e sembrano nascere dalla medesima mano. Secondo alcuni studiosi, la conferma dell’ascrizione ad Antonio di Donnino potrebbe provenire da un ‘Paesaggio’ oggi al British Msueum (inv. 1946,0713.34; link), spesso accostato dalla critica al ‘taccuino’. Sul verso sono visibili due scritte antiche: in una si legge chiaramente “Michele di Ridolfo”, mentre l’interpretazione dell’altra, che appare barrata, è oggetto di dibattito; se per Arthur Popham (1935) e John Shearman (cfr. Coffey 1978) essa riporta il nome “Ant.o di donnino", per Dominique Cordellier (in Paris 1986) quello di “G… di Franco di donnino”. Al di là dell’indicazione contenuta nella scritta, che non ho finora potuto visionare, l’inclusione nel “corpus” del Mazziere del disegno londinese non è certa, poiché si rilevano delle differenze nel segno e nel modo di impostare la veduta rispetto a quelle degli Uffizi (cfr. Silvani 1992) . Alla luce di tali osservazioni, l’idea di ricondurre alla mano del Mazziere la realizzazione del libro appare sicuramente convincente, ma non avendo a disposizione prove certe si preferisce per il momento adottare la classificazione di “foglio attribuito”. A conclusione di questa panoramica, vorrei soffermarmi sull’utilizzo del termine “taccuino” che, seppur molto diffuso, è in realtà improprio; tale vocabolo andrebbe adottato solo per un “vademecum di formato relativamente ridotto, nel quale vengono registrate di getto e pertanto schizzato delle impressioni momentanee” . La serie fiorentina, per le dimensioni dei fogli e i soggetti trattati, non sembra dunque rientrare in tale tipologia; l’espressione più corretta è quella generica di “libro di disegni” con la quale si indica, in contrapposizione con il concetto di “album”, una raccolta di studi realizzati da un artista o da più “autori che stavano fra loro in una qualche mutua relazione” . (Roberta Aliventi, 2022)

Bibliografia

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