Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Del foglio abbiamo notizie solo a partire dall’ ‘Inventario dei disegni’ redatto da Pelli Bencivenni fra il 1775 e il 1784, dove lo si trova attribuito a Giacomone da Faenza e così descritto: “Una Femmina circondata da fiere, e minacciata d’altra che è in aria, da un lato vi è una Femmina nuda in atto di esser ricoperta con un panno da un Vecchio” . Il disegno venne trasferito sotto il nome di Salviati alla fine degli anni Settanta e messo in relazione con l’arazzo tessuto da Jan Rost nel 1546 raffigurante la Giustizia che vendica l’Innocenza, oggi in Palazzo Vecchio; esso era stato commissionato al Bronzino, insieme al sua pendant la Primavera, in un’ottica di consolidamento e promozione della politica medicea . Gli anni Quaranta videro spesso il Bronzino e Salviati lavorare alle stesse commissioni, sovente in rapporto di collaborazione . Oggi la critica è concorde nell’individuare in Salviati, avvezzo al mondo dell’allegorie più che il collega, l’ideatore dell’iconografia dell’arazzo. Nel disegno in esame la Giustizia alata, a cui manca l’attributo della bilancia al contrario presente nell’opera del Bronzino, armata di spada afferra la fanciulla, attorniata da quattro belve, che sono state identificate rispettivamente con l’Invidia (il cane), la Furia (il leone), l’Avarizia (il lupo) e la Perfidia (il serpente) . Si discosta da questa lettura Lynette Bosch secondo cui le fiere rappresenterebbero il passato, il presente, il futuro e lo scorrere del tempo, in accordo a un’interpretazione basata sulle fonti classiche . Panofsky inoltre non mancò di assimilare il gesto della Giustizia a quello di Cristo che salva le anime dall’Inferno, valorizzando la valenza simbolica dell’avvenimento . Sullo sfondo un vecchio, identificato con il Tempo, con un gesto perfettamente simmetrico a quello della Giustizia svela una giovane raffigurante la Verità. Salviati in questo foglio unisce dunque le due allegorie, la Verità svelata dal Tempo e l’Innocenza salvata dalla Giustizia, in un gioco di complessi rimandi figurativi e letterali, traendo ispirazione, secondo Pierguidi, sia dalle raffigurazioni raffaellesche nella sala di Costantino a Roma, sia dalla stessa marca marcoliniana . Il Bronzino, come si può vedere fin dal suo disegno preparatorio , rielaborò l’idea, mantenendone l’impianto generale e le eleganti linee serpentinate, ma ne raggelò l’andamento sinuoso in una composizione più bloccata e statica , in cui il “pathos” dell’avvenimento appare mitigato. Nel foglio in esame l’artista riusa composizioni figurative a lui consone ed è avvicinabile stilisticamente a disegni risalenti allo stesso periodo e ugualmente incentrati su temi allegorici . Le figure si stagliano sulla superficie in una attenta ricerca delle volumetrie, mentre l’attenzione agli effetti di luce e ombra sui panneggi mostrano come Salviati non si discosti dalla tradizione fiorentina, denunciando inoltre lo studio della statuaria classica. Per esempio la Verità, colta nell’atto di spostare il velo, assume una gestualità simile a quelle di una Venere antica. Meritano un’ultima riflessione la presenza di quella che potrebbe sembrare una testa di Medusa alata sull’armatura della Giustizia nonché delle ali, dettagli che non compariranno nell’arazzo. Si potrebbe ipotizzare che Salviati abbia voluto amplificare ulteriormente i rimandi allegorici della composizione, connotando la figura con attributi che identificano Minerva, dea della sapienza e spesso utilizzata nella simbologia legata alla famiglia Medici. (scheda a cura di Ilaria Rossi, pubblicata in “Innocente e calunniato: Federico Zuccari (1539/40 - 1609) e le vendette d’artista’, catalogo della mostra (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, 6 dicembre 2009 – 28 febbraio 2010), a cura di Cristina Acidini Luchinat/ Elena Capretti, Firenze 2009, pp. 260-261, n. 8.9).