Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
La critica è stata concorde nell’attribuire il disegno inv. 1396 F a Federico Barocci e nel considerarlo uno studio preparatorio per la figura in primo piano nelle ‘Stimmate di San Francesco’, dipinto realizzato tra il 1594-1595 per l’altare maggiore della chiesa dei Cappuccini a Urbino e ora conservato nella Galleria Nazionale delle Marche . Tale personaggio non va identificato con fra’ Ruffino, come è stato spesso affermato, ma con frate Leone, in quanto la sua presenza all’evento sacro, anche se non risulta menzionata dalle fonti sulla vita del santo , è testimoniata da una nota manoscritta apposta dal frate stesso al margine del documento contenente la benedizione stilata per lui da san Francesco . Non sappiamo quando il disegno entrò nella collezione fiorentina, dal momento che non è possibile individuare la sua presenza né nei carteggi seicenteschi tra il cardinale Leopoldo de Medici e i suoi emissari a Urbino , né nei registri della galleria antecedenti a quelli tardo ottocenteschi, compilati da Pasquale Nerino Ferri. Ferri, oltre ad attribuire il foglio a Federico Barocci, è il primo a fornirci informazioni precise sul soggetto. Nell’inventario manoscritto a schede, compilato fra il 1879 e il 1881, l’iniziale scritta che individuava schizzi per “tre figure virili” differenti venne cancellata e sostituita dallo stesso Ferri con un’indicazione più precisa e corretta, che si ritrova anche nel ‘Catalogo riassuntivo della Raccolta di disegni antichi e moderni’ del 1890 (Ferri 1890). Egli vi riconosce, infatti, tre varianti per un’unica “figura inginocchiata”, identificata nel “compagno del santo nel Quadro rappres. S. Francesco che riceve le stimate conservato negli Uffizi”. Come hanno chiarito Harald Olsen e Andrea Emiliani , la tela fiorentina citata da Ferri è in realtà una copia del quadro urbinate, forse eseguita da un suo allievo, e non si tratta né di un dipinto autografo, come si deduce dall’indicazione presente nel catalogo della prima mostra dedicata nel 1912-1913 a Barocci e curata da Ferri e Di Pietro, né di un “bozzetto o preparazione”, come sostiene Filippo Di Pietro in un suo contributo apparso nel 1913 (p. 114). La maggior considerazione di cui godette, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il dipinto conservato a Firenze rispetto a quello urbinate è anche da imputare al cattivo stato di conservazione di quest’ultimo. Olsen, pur non ascrivendo il quadro degli Uffizi a Barocci, continuò comunque a considerare frutto della collaborazione tra maestro e allievi la tela alla Galleria Nazionale di Urbino (Olsen 1962, p. 87), la cui piena autografia venne infine affermata in occasione del restauro effettuato per la mostra bolognese del 1975 . A partire dai due contributi risalenti al biennio 1912 e 1913, sopra menzionati, il nostro disegno è stato citato in diverse occasioni, in particolare nelle varie schede di catalogo relative a un altro foglio preparatorio per la figura del frate, conservato a Urbania (Cellini/ Mei 1999, con bibliografia precedente), e nelle monografie di Olsen (1962) e di Emiliani (1985 e 2008). Gli studi più approfonditi sono stati però condotti in occasione delle tre mostre in cui è stato esposto: quelle svoltesi a Firenze nel 1975 e a Saint Louis/ London nel 2012-2013 , incentrate esclusivamente sull’opera di Barocci, e quella realizzata a Roma nel 1982, dedicata alla figura di San Francesco nella Controriforma. Nei relativi cataloghi è stata ampiamente messa in evidenza l’insistente riformulazione da parte di Barocci della posa di frate Leone, per la definizione della quale ci rimangono, oltre all’inv. 1396 F, altri tre fogli preparatori, due dei quali conservati agli Uffizi, inv. 11494 F e inv. 11479 F r., e uno alla Biblioteca Comunale di Urbania, inv. N. II 83.646 . I due disegni della collezione fiorentina sono stati identificati e messi in relazione con le ‘Stimmate’ da Schmarsow nel 1909, per poi essere esposti alla mostra fiorentina del 1912-1913 insieme all’inv. 1396 F, con cui condividono sostanzialmente, a partire da questa data, la medesima fortuna critica. Ai tre fogli sopra citati si aggiungono altri tre disegni con studi di particolari: GDSU inv. 11611 F, Galleria Nazionale di Urbino inv. 1990 DIS 40 r. e Département des Arts graphiques del Louvre inv. 2876 . Sul recto del nostro disegno l’artista giunge, attraverso due studi consecutivi, a realizzare una posa serpentinata, caratterizzata da un forte dinamismo. Il corpo prima analizzato sul nudo viene con un passaggio istantaneo vestito e ruotato, attenuando lo sbilanciamento della figura, attraverso la modifica della posizione delle gambe e del braccio destro che da terra viene posizionato sul ginocchio. I due studi, oltre a presentare alcune varianti posturali, rispondono a due differenti finalità. Nel primo, infatti, l’attenzione si concentra sul busto in rotazione contrapposto al movimento delle gambe, la cui indagine anatomica è condotta con un tratto a penna incisivo e calligrafico, mentre nel secondo, l’artista suggerisce, tramite l’inchiostro diluito steso a penna, il forte contrasto chiaroscurale, prodotto dall’intensa luce proveniente dall’alto. Sul verso del foglio, che risulta semplicemente menzionato da Giovanna Gaeta Bertelà (1975) e da Annamaria Petrioli Tofani (2005), sono invece presenti alcune figure tracciate solamente a contorno, la cui autografia, a mio parere, suscita alcune perplessità. Solo lo schizzo in basso potrebbe essere vagamente ricollegabile alla riflessione avviata da Barocci per la figura del frate, mentre per gli altri due, realizzati ruotando di novanta gradi il foglio, risulta impossibile evidenziare qualsiasi relazione con un’opera del pittore urbinate. Ritornando all’analisi del recto, la posa esaminata sul modello panneggiato appare, come già notato da Giovanna Gaeta Bertelà (1975) e da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò (1982), molto vicina alla soluzione adottata da Barocci nel dipinto, anche se il punto di vista non è ancora frontale e il braccio portato al volto per coprirsi dall’intensa luce è quello sinistro e non il destro, e ciò comporta una diversa articolazione del movimento. Recentemente Judith W. Mann, pur riconoscendo nel foglio inv. 1396 F un passaggio fondamentale per la definizione della contrapposizione tra busto e gambe, ha ritenuto che il passaggio finale del processo creativo sia da individuare nell’inv. 11494 F, in quanto presenta indicazioni più puntuali per la disposizione della figura all’interno della composizione e per il movimento del braccio alzato (Mann in Saint Louis/ London 2012-2013). Stabilire con certezza quali dei due fogli sia il punto di arrivo dell’elaborazione risulta in realtà molto complesso, in quanto la soluzione definitiva risulta essere una sintesi rielaborata delle diverse ipotesi vagliate negli studi preparatori. Nel catalogo del 1975, Giovanna Gaeta Bertelà disponeva i disegni preparatori nel seguente ordine: inv. 11494 F (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi), inv. N. II 83.646 (Biblioteca Comunale di Urbania), inv. 1396 F (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi). A differenza di quanto scritto dalla studiosa ritengo che il punto di partenza dell’elaborazione possa essere individuato nel foglio di Urbania, da cui Barocci sviluppa la posa serpentinata, prima sul recto del disegno inv. 11479 F e infine in quello in esame (inv. 1396 F) . A essi affianca un’ulteriore ipotesi compositiva, sviluppata nell’inv. 11494 F degli Uffizi, che risente maggiormente dell’influenza dei prototipi a cui l’artista si ispira, in particolare l’incisione realizzata da Niccolò Boldrini da un’invenzione di Tiziano . Dai quattro disegni, accumunati sia dalla medesima tecnica a penna e inchiostro sia da simili caratteristiche stilistiche e formali, emerge chiaramente come la definizione della forma si sviluppi attraverso una riformulazione senza cesure e una modellazione costante dell’idea iniziale. Tale aspetto conferma la necessità di ripensare all’“observation of the genesis of [Barocci’s] figures. – messa in luce da Marzia Faietti, che sottolinea inoltre come - Scholarship must proceed beyond the study of the progressive evolution of forms toward their final aspect and instead attempt to trace a sequence that at time may point to internal contradictions if we insist on basing our logical deductions on the assumption of a coherent progression” . Nel nostro caso la continuità esistente tra i diversi fogli è particolarmente visibile accostando il recto dell’inv. 11479 F all’inv. 1396 F. In quest’ultimo infatti, dopo aver verificato sul nudo una variante della posa rivolta a sinistra, l’artista ripete la figura, riavvicinandosi all’atteggiamento studiato nel disegno inv. 11479 F r.. Attraverso la reiterazione variata, nel foglio risultano sintetizzate diverse fasi dell’elaborazione. Innanzitutto vi si riconosce l’abitudine di Barocci di osservare le figure da differenti angolazioni, facendole ruotare su loro stesse, per risolvere problemi legati all’impostazione spaziale del dipinto e per comprendere meglio il movimento della figura nello spazio . Lo studio in controparte potrebbe rientrare anche in quell’assidua ricerca della varietà, nella verosimiglianza, per gesti, pose ed espressioni, rispondendo alle nuove esigenze estetiche della comunicazione religiosa, che caratterizzano le opere baroccesche. Oltre alle modifiche direzionali si può cogliere anche un altro tipico procedimento adottato da Barocci, cioè “the artist’s practice of drawing the figure both nude and clothes” . Tale prassi, già raccomandata a suo tempo da Leon Battista Alberti nel ‘De Pictura’ (Liber II, n. 36), venne sottolineata da Giovanni Pietro Bellori, che rimarcava inoltre il ricorso da parte dell’artista a giovani di bottega per ottenere una posa il più possibile naturale . Rispetto al metodo delineato dal biografo romano, nel nostro foglio si ritrova, a mio avviso, una variante di notevole importanza, in quanto il disegno condotto sul nudo non presenta le caratteristiche dello studio dal vero , ma appare, piuttosto, una riformulazione mentale del corpo maschile, basata su un modulo di matrice chiaramente manierista. Questo caso avvalorerebbe ulteriormente la revisione, avviata da diversi studiosi , della narrazione belloriana, più simile a una sorta di “griglia” interpretativa che, pur rimanendo un punto di riferimento importante, non può essere più considerata un modello da applicare letteralmente per ordinare e comprendere la complessità del “corpus” grafico di Barocci . Infine la reiterazione permette di verificare una terza soluzione, appena schizzata sulla sinistra del foglio, che si discosta sensibilmente dalle altre due e che non risulta ulteriormente sviluppata. Essa non è mai stata analizzata dalla critica e la posa, sempre finalizzata a ricreare movimento espressivo, potrebbe riflettere, a mio parere, suggestioni provenienti da opere del Parmigianino, come la ‘Conversione di San Paolo’ (Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie) . La ponderata riflessione su frate Leone e la costante attenzione rivolta alla definizione della sua posa, se da un lato rispecchiano il consueto modo di procedere dell’artista, vanno d’altra parte spiegate con il ruolo innovativo conferito al personaggio nell’assetto compositivo del quadro. Barocci infatti non solo rende la figura partecipe dell’evento sacro, sulla scia di modelli antecedenti ma le affida il compito di impersonificare “[the] relation between the work and its spectator, underscoring and physically mediating the significance of the miracle of the stigmata as a miracle of the gaze” . (Roberta Aliventi 2015)