Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Questo foglio frammentario raffigurante il busto di una giovane donna velata non è stato mai citato né discusso dagli studi moderni su Raffaello, ma vanta un’antica attribuzione a Sanzio come testimonia il resoconto del viaggio in Italia compiuto nel 1809 dal filologo tedesco Karl Morgenstern . Morgenstern dedica molte pagine alla Reale Galleria degli Uffizi e ai capolavori in essa custoditi. Tra questi, menziona anche il Libro Particolare II, appartenuto nel Seicento al cardinale Leopoldo de’ Medici e interamente dedicato alla produzione disegnativa di Raffaello. Il volume venne descritto per la prima volta da Giuseppe Pelli Bencivenni che nel suo ‘Catalogo dei disegni’ [1775-1792] selezionò quarantuno esemplari . Morgenstern, invece, dà conto di tutti i centodue pezzi presenti nel tomo , e al numero ventotto registra il disegno in esame, individuandone la sua natura di studio per la ‘Deesis con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria’ di Giulio Romano oggi a Parma – al tempo nota come “I Cinque Santi” – link : “Eine weibliche halbe Figur mit einem Schleirer: fie legt Linke auf die Brust: in schwarzer Kreide. Sie scheint mir die Madonna aus Rafaels Cinque Santi, dem eben nicht grofsen Ölgemälde von San Paolo aus Parma, das jetzt im Musée Napoléon ist”. All’epoca di Morgenstern l’aspetto originario del Particolare II – che venne smembrato intorno alla metà dell’Ottocento – era stato in parte alterato. Come documenta la Nota de’ Libri de’ disegni del 1687, a quel tempo il volume era composto da novantatré esemplari ; ad essi vennero aggiunti, nell’ultimo quarto del Settecento, nove fogli, conservati fino a quel momento sciolti. Le modifiche, registrate nell’Inventario Generale del 1784, si devono a Pelli Bencivenni ; tramite la comparazione dei dati forniti da quest’ultimo nel Catalogo dei disegni con quelli del testo di Morgenstern, è possibile stabilire che i disegni inseriti da Pelli provenivano dal lascito di Apollonio Bassetti del 1699 e che tale intervento interessò le ultime pagine del libro: di conseguenza, si deduce che i disegni collocati tra i numeri uno e novantatré – e dunque anche il busto di giovane donna velata – corrispondevano all’ordinamento dato al tempo di Leopoldo . L’antica ascrizione dell’opera a Raffaello è registrata anche nell’inventario ottocentesco a schede di Pasquale Nerino Ferri; sul documento sono inoltre appuntati in differenti grafie i cambi attributivi: a cavallo tra XIX e XX secolo il disegno fu espunto dal fondo grafico dell’Urbinate per essere infine ipoteticamente riferito a Luca Penni, nelle cui cartelle è rimasto fino a poco tempo fa. Nel 1925 Oskar Fischel menzionò il foglio nel suo repertorio dei disegni di Raffaello e, pur senza dedicargli una voce autonoma o indicarne il numero d’inventario, lo identificò come un cartone frammentario per la tavola con la ‘Deesis’ di Parma, suggerendone implicitamente l’autografia raffaellesca. Nonostante l’autorevole opinione di Fischel e un fugace cenno di Frederick Hartt (1944) – che ne condivise la destinazione, ma la ascrisse a Giovan Francesco Penni – l’opera non viene citata, né tanto meno discussa, nella letteratura successiva. Si tratta, tuttavia, di una prova grafica di altissima qualità, chiaramente in rapporto con la pala raffigurante la ‘Deesis’, oggi concordemente attribuita a Giulio Romano che la dipinse intorno al 1519-1520 sulla base di un’invenzione di Raffaello. L’ideazione della scena da parte dell’Urbinate è testimoniata da uno studio autografo per la figura di Cristo al Getty Museum (link ); alla composizione è riconducibile anche un bozzetto al Louvre ( link ) dibattuto tra il maestro e la bottega; il soggetto venne, inoltre, tradotto a stampa da Marcantonio Raimondi (B. XIV, 100, 113). Lo studio del Getty è caratterizzato da una grande attenzione alla resa del chiaroscuro: un’intensa luce sembra irradiarsi dal corpo stesso di Cristo e getta ombre scure sotto il suo braccio destro sollevato e sul ricco panneggio. Il bozzetto del Louvre sviluppa le idee luministiche di Sanzio, riprendendo i contrastati effetti di luce del foglio statunitense. Del resto, dopo la metà del secondo decennio l’artista accentua l’interesse per una gamma cromatica più scura, per ambientazioni crepuscolari e intensi giochi luministici, certamente stimolato da una rinnovata meditazione sull’arte di Leonardo, a Roma dal 1513 al 1516. Rappresentativi di questa fase sono, ad esempio, i dipinti ‘San Michele sconfigge Satana’ (1518) e la ‘Sacra Famiglia detta La Perla’ (datata tra il 1518 e il 1520), la ‘Lapidazione di santo Stefano’ – progettata dal maestro e dipinta da Giulio non più tardi del 1521 –, e ovviamente, la ‘Trasfigurazione’ (1516/1517-1520). Il modello al Louvre testimonia la composizione ideata da Raffaello per la quale egli realizzò verosimilmente anche altri studi, oltre a quello per Cristo. Lo spazio nettamente diviso in due registri – uno terreno, l’altro teatro dell’apparizione divina – e la disposizione simmetrica dei personaggi conferiscono alla scena un’impressione di giustapposizione dei singoli elementi e di ieraticità, amplificata dalla frontalità di Cristo. Invece, nel foglio autografo dell’Urbinate al Getty la figura è animata da un leggero movimento. La staticità della ‘Deesis’ si discosta da uno degli aspetti ricorrenti nella produzione della bottega raffaellesca di questi anni, ovvero la tendenza a preferire pale narrative nelle quali i personaggi sono pervasi da energia e moto; questo aspetto peculiare può tuttavia essere motivato dall’iconografia richiesta dal committente dell’opera. Inoltre, l'aspetto iconico e fisso dell'idea originaria di Raffaello si inserisce senza sforzo, né soluzione di continuità in quel recupero della tradizione paleocristiana e bizantina che avvertiamo per tempo in molte Madonne con il Bambino di Raffaello . Dal canto suo, Giulio Romano inserisce nel dipinto piccoli scarti compositivi che concorrono a dare all’immagine una maggiore dinamicità ed espressività. Rispetto alla composizione più pausata del disegno del Louvre, ma anche in confronto alla stampa di Raimondi, nella tavola le figure riempiono lo spazio e incombono maggiormente sul primo piano: san Paolo si sovrappone quasi alla dimensione divina; angioletti e cherubini affollano, con un moto un po’ disordinato, le nuvole e l’aura intorno a Cristo, creando un’idea di movimento . La saturazione cromatica e il paesaggio sullo sfondo, presente solo nella versione dipinta, assumono un importante ruolo nell’economia dell’opera, raccordandone i diversi elementi e accentuando l’atmosfera notturna; la bellezza di questo brano è stata accostata ad altri esempi cronologicamente vicini, in particolare alla ‘Madonna della Quercia’ del Prado (1518-1520), generalmente ritenuta frutto della collaborazione tra Sanzio e Giulio. Gli esiti ottenuti da quest’ultimo nel dipinto parmense sono il risultato di riflessioni ed esperienze maturate nella bottega, a contatto con l’ultimo linguaggio raffaellesco: nonostante le chiare differenze, la ‘Trasfigurazione’ costituì un paradigma imprescindibile per questa scena crepuscolare dai toni cangianti, orchestrata su due registri. La riscoperta del disegno degli Uffizi aggiunge un importante tassello alla ricostruzione del processo preparatorio della tavola a Parma. Lo studio, sottoposto nel 2020 a un intervento di restauro a cura del restauratore delle Gallerie degli Uffizi Maurizio Michelozzi, è realizzato a carboncino con lumeggiature a biacca su un supporto tinteggiato con colore grigio-beige, costituito da tre pezzi di carta incollati tra loro . La Vergine disegnata ha le stesse dimensioni di quella dipinta e anche la posa corrisponde quasi perfettamente. La figura tracciata sul foglio è interamente ripassata a stilo, con un segno piuttosto calcato; sulla tavola sono presenti le stesse linee incise che delimitano i contorni e i tratti principali non solo di Maria, ma anche di tutti gli altri personaggi della composizione. Il foglio in esame è dunque senza dubbio un frammento del cartone impiegato da Giulio nelle ultime fasi di realizzazione della ‘Deesis’; d’altra parte l’uso pittorico del carboncino e della biacca su un supporto colorato con funzione di mezzo tono trova riscontri con le tecniche dei cartoni realizzati nella bottega di Sanzio. Indagini preliminari a riflettografia a infrarossi condotte sulla tavola hanno rivelato, inoltre, la presenza di un disegno sotto la superficie pittorica: se in corrispondenza della Vergine è difficile da individuare, dal momento che la sua veste è realizzata con pigmenti che la strumentazione fatica a “penetrare”, esso è invece chiaramente distinguibile per le figure dei santi Giovanni e Caterina, abbigliati con tinte chiare, più “trasparenti” all’infrarosso . L’underdrawing, condotto con un tratto preciso e controllato ma non meccanico – in quanto ripassato in alcuni punti –, segna con grande economia di mezzi ed efficacia i contorni delle figure, i punti di luce e d’ombra, l’andamento dei panneggi. Dopo aver trasferito sulla tavola la composizione del cartone tramite il ricalco, sembra dunque che Giulio abbia realizzato un ulteriore disegno con una tecnica a secco o liquida. Tutti questi elementi sono coerenti con quanto è stato rilevato dagli studi sulle pratiche esecutive della bottega nelle opere tarde di Raffaello . Si ravvisa un evidente scarto tra soluzione grafica e pittorica: la ‘Vergine’ degli Uffizi è animata da un’espressione naturale e intensa che pare indurita e meno spontanea nel dipinto di Giulio. Inoltre, in alcuni cartoni di quest’ultimo, come l’‘Ermafrodito’ del Museo Horne , l’‘Allegoria della Moderazione’ al Louvre link , la ‘Testa di Clemente I’ di Chatsworth – preparatori per gli affreschi della Sala di Costantino (1520-1521)–, nonché nelle parti a lui certamente ascrivibili del cartone per la ‘Lapidazione di santo Stefano’ le forme appaiono dilatate, i volumi “bloccati” e i passaggi luministici piuttosto netti e taglienti. Viceversa, nonostante il suo carattere frammentario, la figura in esame si articola nello spazio liberamente e con grazia ed è resa con un morbido segno atmosferico, secondo modalità che trovano riscontro in disegni di Raffaello, in primo luogo nel ‘Cristo in Gloria’ del Getty, parimenti connesso alla ‘Deesis’, ma anche nella ‘Testa di angelo’ (1519-1520 circa) al Museo di Belle Arti di Budapest per la Sala di Costantino . Sebbene in diversi casi sia difficile distinguere la mano del maestro da quella dell’allievo, capace di assimilare il linguaggio di Sanzio raggiungendo esiti assai prossimi ai suoi modi, alla luce delle considerazioni finora formulate ci sembra opportuno riproporre per il disegno degli Uffizi l’antica attribuzione a Raffaello, peraltro condivisa da Marzia Faietti (comunicazione orale, 2019). Dal canto suo Achim Gnann (comunicazione orale, 2019) la ritiene possibile anche perché la figura appare risolta in modo più convincente rispetto a quella dipinta, ma si riserva di confermare o meno l’autografia raffaellesca dopo aver analizzato direttamente il disegno. (Roberta Aliventi e Laura Da Rin Bettina, gennaio 2022)