Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Nei contributi Die Handzeichnungen Giuliano's da Sangallo: kritisches Verzeichnis’ e ‘Giulianos da Sangallo figürliche Kompositionen’, entrambi editi nel 1902, Cornelius Von Fabriczy individuava per la prima volta un nucleo di disegni a soggetto figurativo ascrivibili a Giuliano da Sangallo, artista fino a quel momento noto quasi esclusivamente per la produzione grafica relativa all’attività architettonica e allo studio dell’antico . Avvalendosi delle preziose indicazioni fornite da Pasquale Nerino Ferri, all’epoca conservatore del Gabinetto Disegni e Stampe della R. Galleria degli Uffizi, Fabriczy annoverava nel “corpus” degli autografi quattro fogli conservati presso il museo fiorentino, tra cui la ‘Figura maschile stante’ . Sebbene nel corso del Novecento alcuni studiosi abbiano sollevato dubbi circa l’autografia dell’opera, il riferimento a Giuliano è ormai accolto in modo unanime. Al pari della questione attributiva, anche l’interpretazione del soggetto è stata al centro di un lungo dibattito: se John Byam Shawn (1931-1932) identificò il personaggio dalla folta barba e dalla lunga chioma con Mosè, Bernard Berenson (1938) pensò a una raffigurazione di Giove tonante; più recentemente, Carlo Sisi (in Firenze 1992) vi ha, invece, riconosciuto il poeta latino Lucrezio che, in preda alla pazzia d’amore, distrugge – quasi a prefigurazione del suicidio – i suoi scritti. Quest’ultima ipotesi, ripresa dalla critica negli ultimi tre decenni , deve, però, essere oggi rivista alla luce della lettura proposta da Marzia Faietti nel saggio “Giuliano da Sangallo disegnatore di figura: qualche certezza e molte incognite” (2017). La studiosa giunge a proporre una soluzione per l’insolita iconografia a seguito dell’esame comparativo di altri tre fogli di mano dell’artista, provenienti – con ogni probabilità – da un medesimo libro di disegni ora smembrato e, dunque, ricongiungibili da un punto di vista tematico . Si tratta del ‘Gruppo di guerrieri antichi’ (Gallerie degli Uffizi, GDS, inv. 616 O r.), della “Scena militare all’antica” (Vienna, Albertina, inv. 82) e della ‘Giuditta con la testa di Oloferne e la fantesca Abra’ (Vienna Albertina, inv. 1482). I primi due studi (inv. 616 O r. e inv. 82) hanno quasi esattamente le stesse misure e in origine dovevano formare un unico foglio o essere disposti su due pagine consecutive ; essi compongono un’unica sequenza narrativa, nella quale Faietti individua una rappresentazione dell’accampamento assiro prima della decapitazione del generale Oloferne, la cui tenda compare sullo sfondo . Alla scena sarebbe, poi, seguita la composizione con Giuditta che, mostrando la testa di Oloferne, sancisce la salvezza e liberazione del popolo d’Israele. Nella ricostruzione delineata da Faietti, l’atto conclusivo della storia si avrebbe proprio nell’inv. 155 F r.. Nella ‘Figura maschile stante’ sarebbe, dunque, raffigurato Bagoa, il fedele attendente di Oloferne, che, dopo aver scoperto il corpo decapitato del suo generale, “diede in alte grida di dolore e di lamento, urlando con tutte le forze e stracciandosi le vesti” (Libro di Giuditta, XIV, 16)”. Secondo la lettura di Faietti, il libro capovolto ai piedi di Bagoa – particolare non presente nel testo biblico di riferimento – sarebbe da identificare con “il registro degli ordini e delle prescrizioni del generale”, fino a quel momento custodito dall’attendente . Per quanto riguarda, invece, i tratti somatici del nostro personaggio, così simili a quelli di Oloferne nella ‘Giuditta’ viennese, Giuliano avrebbe fatto ricorso “a una sorta di generica maschera tragica valida per diverse situazioni, riecheggiando la figura del sacerdote nel gruppo scultoreo del ‘Laocoonte’, scoperto nel 1506 e destinato a diventare ben presto un’immagine iconica per la rappresentazione del dolore universale” . In relazione a quest’ultimo aspetto si possono ricordare le significative parole scritte da Aby Warburg: “Il gruppo dei dolori di ‘Laocoonte’ il Rinascimento, se non lo avesse scoperto, avrebbe dovuto inventarlo, proprio per la sua sconvolgente eloquenza patetica” . Sebbene lo studioso tedesco non includa il nostro disegno all’interno la tavola 41a dell’Atlante Figurativo ‘Mnemosyne’ – nella quale, attraverso ventiquattro immagini, si illustra come il ritrovamento del ‘Laocoonte’ segni un punto di non ritorno “verso la maniera enfatica del pathos” (link) –, esso va, senza dubbio, ad arricchire la casistica individuata da Warburg. Nell’accentuazione espressiva della ‘Figura maschile stante’, si possono, infatti, ritrovare i concetti warburghiani di “sopravvivenza dell’Antico” (“Nachleben der Antike”) e di “pathosformel” . In virtù di queste innegabili affinità con le opere scelte per ‘Mnemosyne’, l’inv. 155 F r. risulta esposto alla mostra “Camere con vista. Aby Warburg, Firenze, e il laboratorio delle immagini”, attualmente in corso alle Gallerie degli Uffizi (18 settembre – 10 dicembre 2023); qui si instaura, ad esempio, un suggestivo e inedito dialogo con la ‘Giuditta’ di Mantegna (Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 404 E), confronto dal quale può svilupparsi “un’altra storia ancora, suggerita dall’imperturbabilità della figura femminile e dalla disperazione dell’uomo che si straccia le vesti” . Ritornando ai legami esistenti tra il personaggio identificabile con Bagoa e il ‘Laocoonte’, le suggestioni provenienti dal prototipo non si ravvisano solo nella resa del volto, ma anche nell’attenzione riservata da Sangallo all’anatomia, enfatizzata mediante una sapiente combinazione della penna e dell’inchiostro diluito. L’intenso gioco chiaroscurale, che va a sostituire il tracciato lineare a penna tipico delle opere sangallesche degli anni Ottanta del Quattrocento , unita alla capacità di rielaborare gli stimoli provenienti dall’antico riflettono in modo chiaro il contatto con “la cultura artistica messa a punto a Roma nei primi del Cinquecento, in un periodo in cui la neutralità di un sistema di segni che documenta fedelmente (o asetticamente) i reperti antichi aveva ceduto il passo a un sistema descrittivo in grado di restituire tutte le manifestazioni dell’antichità, talora attratto dall’ibridismo delle forme e soprattutto capace di ripensare originalmente le fonti classiche in chiave antico-moderna” . Sulla scorta di tali considerazioni è plausibile circoscrivere l’esecuzione della ‘Figura maschile stante’, e degli altri tre fogli a essa collegati, agli ultimi anni del primo decennio del XVI secolo . L’adesione al clima culturale romano di inizio secolo porta, dunque, a un aggiornamento stilistico che rinnova, senza mai annullarla completamente, la formazione fiorentina di Giuliano. Quest’ultima, nel caso specifico dell’inv. 155 F r., traspare proprio nell’espressione di Bagoa, dove si scorge ancora un’eco “del delicato patetismo di figure del Botticelli quali il ‘San Giovanni Battista’ degli Uffizi (inv. 188 E)” . D’altra parte una vicinanza ai modi di Sandro Filipepi era stata già ravvisata da Pasquale Nerino Ferri che, nella scheda storica del disegno, appuntava “Dal Botticelli”. Anche se non è mai stato individuato un modello di riferimento botticelliano, si segnala che a Filipepi si deve una delle rare raffigurazioni di Bagoa; l’attendente, infatti, compare ne ‘La scoperta del cadavere di Oloferne’, dipinto che forma con ‘Il Ritorno di Giuditta a Betulia’ il dittico noto come le “Storie di Giuditta”. (La scheda, redatta da Roberta Aliventi nel settembre 2023, riprende le riflessioni avanzate da Marzia Faietti in ‘Giuliano da Sangallo disegnatore di figura: qualche certezza e molte incognite’, in ‘Giuliano da Sangallo. Disegni degli Uffizi’, a cura di D. Donetti, M. Faietti, S. Frommel, catalogo della mostra (Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe Sala Edoardo Detti e Sala del Camino), Firenze 2017, pp. 136-148).