Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
La firma vergata sul verso è prova inconfutabile dell’attribuzione del ‘Ritratto’ a Elisabetta Sirani mentre un’iscrizione in grafia più elegante, ma non autografa, identifica l’effigiato con il conte bolognese Annibale Ranuzzi (1625-1697), agente artistico per la famiglia dei Medici, uno dei principali corrispondenti del cardinale Leopoldo e assiduo frequentatore della casa-bottega dei Sirani . Insieme al suocero, il marchese Ferdinando Cospi, Ranuzzi si avvalse spesso della consulenza del padre di Elisabetta, Giovanni Andrea Sirani, per valutare la qualità e i prezzi di disegni destinati al cardinale. A sua volta collezionista e committente di Elisabetta – nell’inventario dei suoi beni redatto nel 1698 sono elencati quattro dipinti attribuiti alla pittrice e quest’ultima nella sua ‘Nota’ registra due opere a lui destinate -, il conte svolse un ruolo di primo piano nel promuovere la giovane presso la corte medicea. Insieme a Cospi, che grazie a una garbata ma efficace strategia aveva procurato alla Sirani la commissione da parte di Leopoldo de ‘La Giustizia, la Carità e la Prudenza’ (1664, olio su tela, Comune di Vignola, inv. 8887) , fu lui infatti a ragguagliare costantemente il Principe sul progresso dei lavori: inviò inoltre a Firenze anche uno studio compositivo, identificabile con un disegno ora in collezione privata . Nella ‘Nota delle pitture fatto da me Elisabetta Sirani’, su duecento opere registrate sono menzionati solo quindici ritratti ed è ancora inferiore il numero di opere di questo tipo giunto fino a noi. Tuttavia, tale genere pittorico dovette ricoprire un certo rilievo nella produzione dell’artista, che donò a Leopoldo le effigi di Luigi Magni (dipinto noto grazie a una stampa di cui il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe conserva un esemplare, inv. 12057 st. sc.) e del futuro Granduca Cosimo III (opera perduta) e che è ricordata da Cospi, all’indomani della sua morte, come una valente ritrattista, molto amata dalle gentildonne bolognesi . Quella dei ritratti a disegno è una tipologia piuttosto rara nel corpus grafico di Elisabetta: oltre all’esemplare in esame, sono a lei certamente riferibili tre autoritratti (Ginevra, collezione privata; Oxford, Ashmolean Museum, inv. 953; Liverpool, Walker Art Gallery, inv. WAG1995.345) e il ‘Ritratto di giovane’ conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe (inv. 6299 F, vedi la scheda relativa). Di questo gruppo, i più affini per tecnica e impianto al ‘Ritratto di Annibale Ranuzzi’ sono l’‘Autoritratto’ in collezione privata e l’inv. 6299 F. Tutti e tre, realizzati a pietra nera e/ o rossa, rappresentano le figure a mezzo busto, con la testa e lo sguardo rivolti allo spettatore. In essi si ravvisa il modello dei disegni condotti con la stessa tecnica da Guido Reni e dal padre Giovanni Andrea e, soprattutto, da Simone Cantarini , da cui la Sirani trasse esempio anche nelle sue acqueforti. La costruzione delle figure con pochi tratti, che non si soffermano sui dettagli ma cercano una sintesi dinamica tra posa, effetti luministici e espressione del volto , è infatti affine ai modi grafici del pesarese. Il foglio in esame mostra come la facilità e la sicurezza della mano, doti per le quali Elisabetta era lodata soprattutto in relazione ai dipinti e ai disegni a pennello e inchiostro diluito , possano essere riscontrate anche nelle sue più rare opere a pietra: nel ‘Ritratto di Annibale Ranuzzi’, quasi certamente opera autonoma come attesta la firma, un segno arioso e pieno di brio restituisce con grande sintesi la fisionomia e lo sguardo “rapace” del conte bolognese, che ben si accorda alla personalità che traspare dalle lettere di sua mano. Ranuzzi fu infatti un agente scaltro e un abile promotore della Sirani, sebbene in alcune missive indirizzate a Leopoldo de’ Medici non risparmi la giovane artista dal suo sottile sarcasmo. Il 17 maggio del 1664 egli scrive: “Fu a veder dipinger la Sirana nel quadro di V[ostra] A[ltezza] e ne hebbe sodisfazione ma furono più i colori che sul volto della pittrice intimorita si facevano vedere, che quelli del penello, benché tratteggiasse francamente, e da maestro” ; alcuni mesi dopo, per descrivere l’effetto delle “due righe” di lodi al ritratto di Cosimo III inserite dal Cardinale in una lettera a lui indirizzata, racconta che Elisabetta ha “ben sì pregatomi à legerla alla Madre, alle sorelle, à i fratelli, alla serva, e à i gatti di casa” . (Laura Da Rin Bettina, 2018)