Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
La mostra ‘Verrocchio maestro di Leonardo’ (Firenze 2019) ha offerto l’occasione di esaminare nelle sue caratteristiche tecniche e formali questo disegno, che non era mai più stato esposto dopo il 1986, rileggendolo alla luce delle conoscenze attuali sul percorso artistico di Filippo Lippi e ricollocandolo nell’odierno dibattito sul tema dello studio di panneggio, di centrale importanza per comprendere le ricerche estetiche condotte in ambito fiorentino quattrocentesco. Infatti, soprattutto nella seconda metà del secolo, con artisti come Verrocchio, Leonardo, Lorenzo di Credi e altri, nella città toscana questo tipo di studi assume quasi il valore di genere autonomo, in quanto non solo riesce a convogliare l’interesse per il panneggio, motivo carico di significato in virtù della sua ascendenza classica e tradizionalmente legato alla rappresentazione degli affetti, ma intercetta anche una precipua attenzione per la luce, che nelle botteghe viene studiata dal naturale tramite manichini o altri modelli inanimati ricoperti di drappi imbevuti di cera o terra liquida . Il foglio in esame, dunque, costituisce una rara testimonianza visiva delle premesse di questa pratica nella prima metà del secolo, in quanto prepara la figura di san Giovanni Battista nell’Incoronazione di Maria Vergine per l’altar maggiore della chiesa fiorentina di Sant’Ambrogio, oggi conservata presso le Gallerie degli Uffizi (Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890, n. 8352) e realizzata da Filippo Lippi tra il 1439 e il 1447 (Ruda 1993, pp. 139-147, 422-426, n. 36). A queste date i confronti con prove grafiche analoghe sono meno frequenti che nella seconda metà del Quattrocento, anche se si possono richiamare esempi dello stesso Lippi (sebbene ritenuti successivi) come lo studio di Rennes, a sua volta esposto alla mostra fiorentina del 2019, in occasione della quale gli fu dedicata un’ampia e articolata scheda nel relativo catalogo, a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti (Andrea De Marchi in Firenze 2019, pp. 270-271, n. 9-4). Non a caso la tradizione antica, che si può far risalire a Filippo Baldinucci (Baldinucci 1687, ASF, GM 779, ins. 9, c. 1014 r.), associava il disegno al nome di Lorenzo di Credi, mentre la critica novecentesca con Bernard Berenson (1903, 1938, 1961, n. 2762) lo assegnava a “Tommaso”. Si deve a Gigetta Dalli Regoli (1960) il merito di avere riconosciuto la funzione preparatoria per il san Giovanni della pala Maringhi dalla posa della mano e dall’andamento delle pieghe del manto, che ritornano anche nel dipinto, seppure con lievi differenze. In seguito la critica ha sempre accolto tale identificazione ad eccezione di Jeffrey Ruda (1993), secondo cui il foglio appartiene a un anonimo artista fiorentino collocabile negli anni settanta o ottanta del Quattrocento. In realtà, al di là dell’innegabile qualità formale, evidente ad esempio nella mano dalle fattezze tipicamente lippesche (Cadogan 1980), anche la trama sintattica del disegno conferma l’attribuzione a Lippi. La punta metallica non definisce solo i contorni esterni della figura, ma delinea anche le pieghe del manto, poi ripassate con il pennello sottile e l’inchiostro, creando, inoltre, un fitto tratteggio parallelo, ben visibile in alto a destra e in basso al centro, per individuare i piani interni del panneggio e, in particolare, i punti dove nel dipinto si addensa maggiormente l’ombra. Questo modus operandi, che è una caratteristica della tecnica della piena maturità del frate carmelitano, è stato di recente individuato da Maria Clelia Galassianche nell’underdrawing di sue opere più precoci . La complessa geometria del drappo, realizzata mediante una stratificazione di tecniche differenti, dalla preparazione, alla punta metallica, all’inchiostro e alla biacca, denuncia un intrinseco collegamento con la scultura, a cui Leon Battista Alberti nel De pictura (1435) raccomandava di guardare per imparare a ritrarre i lumi . A Donatello, con il quale Lippi in questo periodo è in diretto contatto, come ha recentemente documentato Andrea Di Lorenzo , rimandano, appunto, non solo il tipo di pieghe del panneggio, ma anche la posa del san Giovanni, desunta, soprattutto per la parte raffigurata nel foglio degli Uffizi, dalla statua in bronzo dorato di San Ludovico di Tolosa (Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce, inv. M 101). In questa ottica si può supporre anche l’uso da parte del frate carmelitano di modellini plastici, forse in certi casi forniti dallo stesso Donatello . Pertanto, sulla scorta di Alberti, la trasposizione del mondo naturale nella dimensione del dipinto prevede un processo di astrazione formale attraverso il filtro della scultura, tanto nella resa dei fenomeni luminosi quanto nella rappresentazione delle attitudini umane. Le istanze naturalistiche sono al servizio dell’‘historia’, come dimostra il rimando al San Ludovico, statua all’epoca ben nota ai fiorentini e per Lippi ‘exemplum’, figura esemplare, di precise qualità morali, che attraverso la posa corporea vengono richiamate per il pubblico dei fedeli . Della stessa figura di san Giovanni esiste un altro disegno attribuito solitamente alla bottega, ma talvolta assegnato anche a Lippi stesso . (R. Sassi, in Firenze 2019)