Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
C’è un momento nell’intensa esperienza artistica di Raffaello in cui la prospettiva lineare, giunta all’apogeo della sua massima espressività, sembra non bastare più dietro l’incalzare di nuove esigenze narrative, queste ultime determinate da storie sempre più complesse dispiegate in composizioni vaste e articolate. Agli esordi del secondo decennio l’urbinate attenuava infatti l’isolamento paratattico delle sue figure statuarie distribuendole entro ampi contesti in cui esse intrecciavano multiple relazioni reciproche; allo stesso tempo si riprometteva di saggiare le possibilità estreme del quadrangolo albertiano, il cui contorno regolare pareva trovare una certa equipollenza nelle strutture architettoniche simulate dell’‘architectura picta’. Quasi contemporaneamente si stava chiedendo come superare quelle stesse orditure, di cui avvertiva la rigida fissità, attraverso ricerche destinate ad assumere una prima consistenza visiva nella cupola della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo. Il forte potenziale di apertura di quelle ricerche è parso perfino di stimolo al Correggio per la sua cupola in San Giovanni Evangelista a Parma , anche se solo in proseguo di tempo, soprattutto nel Duomo cittadino, l’artista sarebbe giunto a più radicali soluzioni alternative alla linea retta e all’intreccio regolare con l’impiego della spirale e del vortice lineare . In primo luogo, desidero evocare lo snodo tra gli ultimi sviluppi della prospettiva lineare in particolare albertiana e la prefigurazione di sistemi innovativi di rappresentazione spaziale , attraverso l’esame di una singola opera selezionata come ‘exemplum’ di tensioni intellettuali e artistiche più generali. Sto parlando di un foglio conservato al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, dove, sul recto, si trova una suggestiva figura femminile seduta e appoggiata a una sorta di parapetto, assieme a due schizzi distinti (inv 1473 F r.) Sulla prospettiva, nelle riflessioni che ne hanno accompagnato le origini e in quelle maturate nel secolo scorso, rinvio ancora al volume di Damish 1987, mentre per un commento sullo storico saggio di Panofsky dedicato alla prospettiva come forma simbolica rimando all’introduzione di Ch.S. Wood in Panofsky ed. 1991, pp. 7-24; in entrambe le opere si può trovare la bibliografia principale sull’argomento.">nota. Esso veniva ascritto, almeno a partire dalla seconda metà del Settecento, al Parmigianino, tanto che Stefano Mulinari nel 1774, limitandosi alla sola figura della giovane, ne trasse una incisione in cui sia l’invenzione che il disegno venivano riferiti all’artista di Parma ; fu convincentemente assegnato alla prima maturità di Raffaello solo a partire dal 1966 , anche se, a dire il vero, in un “chiaroscuro” di Anton Maria Zanetti segnalato da Adam Bartsch (B. XII, 190-191, 3) compare già la sigla raffaellesca . In seguito, i due studi sono stati messi rispettivamente in relazione con l’affresco raffigurante l’‘Apparizione di Dio a Mosè’ nella volta della Stanza di Eliodoro in Vaticano e con i tentativi che Raffaello, divenuto responsabile della Fabbrica di San Pietro dal primo aprile 1514, stava effettuando allo scopo di valutare gli effetti visivi di una crociera con trabeazione curva e di navate laterali coperte da cupole o da crociere. Non è mia intenzione soffermarmi né sul disegno rapido ed elegante degli angeli che accompagnano l’apparizione divina dipinta nella Stanza vaticana, né sugli schizzi architettonici, assai studiati anche assieme a quelli sul verso. Questi ultimi, almeno in parte, sono stati riferiti ancora a San Pietro e al sistema delle coperture a volta, nonché alla medesima Stanza (la traccia a pietra nera di un finto arazzo disteso, con borchie nelle bordure); contemplano inoltre, disegnata in scorcio a sinistra in basso, la cassa di un liuto.Vorrei, piuttosto, intrattenermi sull’affascinante fanciulla del recto e, finalmente, verificarne la coerenza creativa e intellettuale con i motivi ornamentali del verso, l’icosaedro a destra e l’ornato serpentiforme sottostante, in cui John Shearman aveva intravisto progetti dell’Urbinate per gli intarsi un tempo nella Stanza della Segnatura eseguiti da Giovanni da Verona tra il 1513 e il 1515 circa . In realtà, essi rivelano, ancora prima, il forte ascendente di alcune pagine del Codice Atlantico di Leonardo , in un momento in cui evidentemente Raffaello era intento a sondare le potenzialità della prospettiva anche sul tracciato mnemonico di Piero della Francesca . La giovane trae la sua prima ispirazione da un prototipo antico, riconosciuto nel rilievo di un sarcofago un tempo nella collezione Albani del Drago a Roma , oggi nel Museo Nazionale Romano in Palazzo Altemps e noto come ‘Nova nupta’ sulla base di un’interpretazione erronea che risale almeno al Seicento, secondo la quale la protagonista sarebbe una fanciulla in atto di essere abbigliata per le nozze. Quel modello aveva precedentemente attratto l’attenzione di un artista, la cui ipotetica identificazione con Andrea Mantegna ha goduto per qualche tempo di un certo seguito, ma che oggi si preferisce considerare un autore dell’Italia settentrionale forse ispirato da un foglio del padovano: lo ritroviamo, infatti, nel verso di uno studio all’Albertina di Vienna (inv. 2583), che reca sul recto uno schizzo con l’imperatore Traiano che combatte i Daci dall’Arco di Costantino . Nel disegno dell’Albertina la figura della protagonista è estrapolata dal contesto nello sfondo e descritta con una certa fedeltà rispetto al modello antico, salvo per il piede sollevato, che nel rilievo è appoggiato sulle ginocchia dell’ancella, mentre nella trascrizione grafica poggia su un sostegno architettonico. Viceversa, Raffaello si mostra indipendente dal prototipo soprattutto nel gesto delle braccia, giungendo a sollevare il braccio sinistro e la mano che poggia ora sulla testa, anziché coprirsi il volto con un drappo; peraltro un gesto simile, altrettanto languido e seducente, riecheggia nella ‘Notte’ scolpita da Michelangelo per la Sacrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze. Inoltre, inserisce un cane accovacciato ai piedi della padrona e assente nel modello classico, dove invece era effigiato con ogni probabilità un cuscino a rullo; una variante, quest’ultima, che assieme agli abiti della donna conferisce intenzionalmente un’aria domestica e contemporanea a quella figurazione antica. Con queste varianti l’urbinate si riappropria originalmente della sua fonte, immaginando una giovane seduta accanto a una finestra e appoggiata al parapetto, assorta in un sonno o in una pausa di riflessione che la spinge a socchiudere gli occhi; essa non si copre dunque più il volto mentre viene assistita nella toletta dalla ancella, forse per nascondere le lacrime o per pudore, almeno secondo l’interpretazione che faceva di lei una ‘Nova nupta’. L’incantevole figura conobbe un’ampia diffusione attraverso la trascrizione grafica in controparte effettuata da Marcantonio Raimondi, ma nella stampa la giovane, raffigurata nei panni di ‘Sant’Elena’ (B. XIV, 342-343, 460), siede davanti a una finestra aperta da cui appare l’angelo in volo che reca una croce . L’incisore mutuò dal foglio di Raffaello elementi figurativi originariamente distinti (la donna seduta e uno degli angeli per l’affresco nella Stanza di Eliodoro), dando luogo a un’unica figurazione variata di significato iconografico. Mi chiedo se avesse tra le mani un foglio già allora tagliato in corrispondenza dell’angolo sinistro o se, indipendentemente da ciò, l’invenzione della finestra gli venisse suggerita dal parapetto su cui la donna raffaellesca poggia il gomito. Una copia anonima segnalata da Bartsch (B. XIV, 342, 460 A) mostra la figura alla finestra nello stesso verso dell’originale di Raimondi, ma senza l’apparizione dell’angelo del martirio . Mi sono già intrattenuta, occupandomi della ‘Notte’ Ludovisi del Guercino , sulla singolare fortuna della ‘Nova nupta’ attraverso la mediazione del foglio raffaellesco, a sua volta divulgato dalla stampa di Marcantonio; agli esempi significativi allora illustrati potrei aggiungerne ora altri , ma ciò esula dai miei attuali obiettivi. Mi limito perciò ad accennare alle conclusioni cui pervenni a seguito di una prima casistica esemplificativa in costante aumento: nel corso del Cinquecento l’elaborazione iconografica della giovane seduta, in atteggiamento pensoso o immersa nel sonno, dovette la sua fortuna principalmente alla diffusione di due modelli antichi quali la ‘Nova nupta’ e la ‘Dacia Cesi’ o ‘Germania Capta’ , che a loro volta generarono diversi filoni iconografici e mutue interferenze . Tornando al foglio raffaellesco, un “ante quem” per quel taglio netto intervenuto a un certo momento è stabilito dall’inventariazione effettuata a fine Ottocento sotto il nome del Parmigianino dal curatore della raccolta Pasquale Nerino Ferri (1851-1917): il numero di inventario, prima del recente restauro, risultava, infatti, apposto sul verso e sulla vecchia carta di risarcimento della lacuna, mentre nello schedario inventariale manoscritto Ferri aveva descritto il disegno come “frammentato” . Forse quel taglio regolare, come una sorta di mutilazione quasi voluta e meditata, era già presente all’epoca in cui il disegno circolava nella bottega di Marcantonio e potrebbe aver stimolato l’invenzione della finestra aperta dietro la figura di sant’Elena. D’altra parte, l’inserimento di una finestra sembrava piuttosto congruente con il pensiero originario di Raffaello, che aveva evocato l’esistenza di uno spazio aperto al di là del parapetto. La deliziosa ‘Madonna del gatto’ oggi alla National Gallery di Londra, realizzata da Federico Barocci per il conte Antonio Brancaleoni di Piobbico verso il 1575 , mostra nello sfondo un interno nel quale si è voluta riconoscere una delle stanze del Palazzo Ducale di Urbino o, in alternativa, gli ambienti dello stesso palazzo Brancaleoni ; comunque sia, quella soluzione dipinta conserva qualche analogia con il sedile della giovane nel foglio agli Uffizi, nonostante l’introduzione di una variante nell’elegante piede a colonnetta. Aveva, dunque, Raffaello progettato un’apertura simile a una finestra forse solo accennata con una linea di contorno, che poi per qualche ragione finì per essere tagliata? O si era piuttosto limitato a suggerire uno sfondo oltre il parapetto, contrapponendo alla luminosità chiara del foglio le zone ombreggiate con inchiostro diluito? Quest’ultima ipotesi sembra la più probabile, dal momento che le sottili linee a penna che ancora rimangono ai lati del taglio sembrano riferirsi alle nuvole in cui appaiono gli angeli dello studio per la volta della Stanza di Eliodoro. L’indicazione iconografica suggerita dalla scritta “DANAE”, vergata in inchiostro sul margine anteriore del sedile, sembra antica, ma eseguita con un inchiostro con ogni probabilità diverso da quello, modulato in due tonalità diverse, con cui sono stati realizzati i disegni, almeno per ciò che se ne può arguire da un’indagine al microscopio . Questa osservazione non compromette necessariamente l’autografia di Raffaello; in un primo momento avevo pensato che l’iscrizione fosse forse apposta quando si era già perso il contatto con il prototipo antico, ma a distanza di tempo non ne sono affatto sicura ; anzi, direi che per un artista come l’urbinate il rilievo poteva prestarsi a un’interpretazione inedita del mito di Danae, che in qualche modo ereditasse alcuni aspetti della precedente tradizione iconografica , ma finisse poi per rielaborarli in modo affatto originale. Se così fosse, Raffaello intese raffigurare la giovane immersa nel sonno e completamente vestita a rimarcare la sua innocenza nel concepimento di Perseo, in linea con l’iconografia medievale; infatti, come è noto, Danae nel Medioevo era figura della concezione verginale e, dunque, della Madonna e dell’incarnazione del Verbo . L’eroina, poi, è appoggiata al parapetto della finestra aperta nella torre in cui il padre Acrisio l’aveva rinchiusa (secondo Orazio, Ovidio e Boccaccio, mentre il mitografo greco Apollodoro aveva parlato di una camera sotterranea) per scongiurare il pericolo della sua morte per mano del futuro figlio di Danae . L’urbinate concepisce la sua raffigurazione in anticipo rispetto alle immagini erotiche del Correggio, del Primaticcio e di Tiziano ; tuttavia, se la paragoniamo alle versioni iconografiche precedenti, non sfugge come l’artista abbia in realtà compiuto un importante passo in avanti. Egli ha saputo mirabilmente infondere un’aurea antica, attraverso il ricorso alla fonte archeologica, a un’immagine ancora esemplata su contenuti moralizzanti medievali e, per di più, contestualizzata in un verosimile ambiente domestico dove sia la forma del sedile, sia la foggia dell’abito alludono a un’epoca a lui coeva. La figura della giovane è paradigmatica dell’utilizzo variato di una fonte antica da parte di Raffaello: proprio nella Stanza di Eliodoro egli si era ricordato del rilievo già Albani del Drago, elaborandolo in controparte nel guardiano addormentato della ‘Liberazione di san Pietro dal carcere’ . Non è stato finora colto un secondo riferimento al gesto della ‘Nova nupta’ nel contesto della medesima Stanza: esso ritorna, sia pure modificato, nel ‘Mosè davanti al roveto ardente’; una relazione, quest’ultima, che mi pare piuttosto significativa del modo di procedere analogico delle invenzioni raffaellesche nel momento in cui sul foglio degli Uffizi Raffaello rielabora il prototipo classico e mette a punto l’invenzione del coro di angeli che accompagneranno l’apparizione di Dio Padre all’eroe biblico. C’è chi si è cimentato in una proposta di cronologia leggermente variata dei diversi elementi disegnati , ma credo che questa idea vada scartata: l’artista potrebbe invece essere intervenuto sul foglio in rapida sequenza, più precisamente ripassando i punti che risultano infatti di tonalità più marcata, cosi come deve aver rifinito la figura della giovane, con liquide stesure di inchiostro diluito, in un secondo momento rispetto alla prima traccia lineare, tanto è vero che le zone di ombra all’estrema destra si intersecano, sovrapponendosi, ai due schizzi riferiti alla Stanza di Eliodoro e a San Pietro. Dunque, il disegno andrebbe piuttosto inteso come un palinsesto di idee velocemente fissate e completate quasi senza soluzione di continuità con interventi successivi in immediata successione. Nel foglio fiorentino mi sembra siano richiamate simultaneamente le tre arti principali: la scultura, adombrata dall’interpretazione dell’antico rilievo; la pittura, rappresentata dallo schizzo preparatorio per la volta della Stanza di Eliodoro e l’architettura, presente mediante gli studi per San Pietro. Scultura, pittura e architettura vengono poi riunificate sotto il segno del Disegno, perfettamente in grado di riprodurre l’aggetto scultoreo del rilievo mediante l’inchiostro diluito; la prevalente bidimensionalità dell’affresco tramite ritmi lineari fluenti e il tratteggio diagonale ; la volumetria dell’edificio con l’energia segnica rapida e concisa dello schizzo a destra. Tre stili grafici diversi per tre branche differenti dell’espressione artistica, che convivono nello spazio limitato di un foglio, il cui valore concettuale non è inferiore a quello artistico. Non mi pare neppure casuale l’uso della penna, vale a dire la tecnica in apparenza più semplice ma in realtà più complessa, come avrà modo di sottolineare la trattatistica del Cinquecento. Faccio riferimento in particolare a Benvenuto Cellini che nel ‘Discorso sopra l’arte del disegno’, degli anni Sessanta, affermava: “Il qual modo di disegnare si è difficilissimo, e sono pochissimi quei che ànno disegnato ben di penna” , ma anche a Raffaello Borghini, che ugualmente ribadiva la difficoltà della tecnica e consigliava di utilizzarla solo se dotati di pratica e maestria , riecheggiando inoltre una precedente osservazione di Vasari, che aveva sottolineato come “la penna sola, lasciando i lumi della carta […] è difficile, ma molto maestrevole” . Tutte queste opinioni erano, in fondo, anticipate da Cennino Cennini quando, alla fine del capitolo XIII del suo ‘Libro dell’arte’, scriveva: “Sai che ti avverrà, praticando il disegnare di penna? che ti farà sperto, pratico, e capace di molto disegno entro la testa tua” . Certamente Raffaello era “capace di molto disegno entro la testa sua”: il foglio degli Uffizi è una sorta di manifesto programmatico della visione del Disegno inteso come padre delle tre arti, che precede di oltre cinquant’anni la sua definizione teorica formulata in maniera estesa da Giorgio Vasari nell’‘Introduzzione […] alle tre Arti del Disegno cioè Architettura, Pittura e Scoltura […]’ del Libro I delle ‘Vite’, precisamente nel capitolo XV intitolato: ‘Che cosa sia disegno, e come si fanno e si conoscono le buone pitture et a che; e dell’invenzione delle storie’, nell’edizione Giuntina del 1568 . Nel foglio di Raffaello il Disegno è elemento unificatore di ricerche lineari complesse che si intrecciano nella struttura bidimensionale della carta, considerata come un limite e insieme uno stimolo nel tentativo di restituire il rilievo della scultura e la volumetria delle architetture. Nella stessa ‘Introduzzione […] alle tre Arti del Disegno […]’ troviamo un passo sui diversi modi e qualità del disegno che sembrerebbe quasi commentare alla lettera i tre stili grafici adottati dall’urbinate in relazione alle immagini rispettivamente riferite alla scultura, alla pittura e all’architettura, di cui si è accennato poc’anzi: “Quelli che sono tocchi leggermente et apena accennati con la penna o altro, si chiamano schizzi, come si dirà in altro luogo; quegli poi che hanno le prime linee intorno intorno, sono chiamati profili, dintorni o lineamenti. E tutti questi, o profili o altrimenti che vogliam chiamarli, servono così all’architettura e scultura come alla pittura; ma all’architettura massimamente, perciò che i disegni di quella non sono composti se non di linee, il che non è altro, quanto a l’architettore, ch’il principio e la fine di quell’arte, perché il restante, mediante i modelli di legname tratti dalle dette linee, non è altro che opera di scarpellini e muratori. Ma nella scultura serve il disegno di tutti i contorni, perché a veduta per veduta se ne serve lo scultore quando vuol disegnare quella parte che gli torna meglio o che egli intende di fare per ogni verso o nella cera o nella terra o nel marmo o nel legno o altra materia. Nella pittura servono i lineamenti in più modi, ma particolarmente a dintornare ogni figura, perché quando eglino sono ben disegnati e fatti giusti et a proporzione, l’ombre che poi vi si aggiungono et i lumi sono cagione che i lineamenti della figura che si fa ha grandissimo rilievo e riesce di tutta bontà e perfezzione. E di qui nasce che chiunque intende e maneggia bene queste linee, sarà in ciascuna di queste arti, mediante la pratica et il giudizio, eccellentissimo” . Raffaello diede un’interpretazione assai viva e attualizzante della giovane donna del prototipo antico, suggerendo appena, ma efficacemente, uno sfondo architettonico, che ereditava dal modello antico l’idea di una “scatola” o “cornice architettonica”, da riutilizzare variandola in modo affatto originale. L’artista si servì in questi anni di studi simili anche per montare le sue più complesse “scatole architettoniche” nella decorazione su scala parietale. In tale processo creativo si incontrano studi di singole figure, concepite come assemblaggio indistinto di figura e spazio: figura che misura lo spazio intorno a sé, spazio che esiste in quanto originato dalla figura. Ho in mente quelle caratteristiche “figure sospese nel vuoto” – un esempio significativo è lo ‘Studio per l’Adamo’ agli Uffizi (inv. 541 E) destinato alla ‘Disputa del Sacramento’ nella Stanza della Segnatura –, spie affascinanti di una progettazione mirata a studiare i corpi e le loro posture, che in genere segue le indagini più generali sull’assetto compositivo, ma a volte può anche coesistere parallelamente. Non che l’urbinate studiasse isolatamente e con tali modalità le figure ora per la prima volta, né era il primo: basti pensare a Michelangelo, che per questi aspetti e a tali date esercitava un indubbio ascendente sul più giovane artista. Ciò che mi preme qui puntualizzare è che una concezione analogamente interessata all’isolamento statuario della figura emergeva anche da quegli studi antiquari di epoca precedente, che estrapolavano dai contesti architettonici singole figure per fissarne l’iconografia in vista di reiterati usi e rielaborazioni, come accade nella “figura sospesa” dello studio dell’Albertina desunto dalla ‘Nova nupta’. Quel rilievo antico aveva fornito insieme l’idea della “scatola architettonica” e quella della “figura sospesa nel vuoto”, mediante le quali, all’altezza delle prime due Stanze vaticane, Raffaello esperiva le estreme potenzialità espressive della prospettiva lineare, rispetto al rapporto tra la figura e lo spazio circostante e tra la composizione pittorica e lo spazio architettonico che la accoglie. Il sonno o l’assorta meditazione di quella creatura scolpita, a cui l’artista con pochi tocchi di inchiostro diluito conferisce una nuova vita e un contesto architettonico meno circoscritto rispetto al vano delimitato da un tendaggio del modello classico, sembrerebbe quasi alludere a una riflessione del pittore sulla finestra aperta albertiana: “[….] dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto [….]” . Si è detto in apertura come agli esordi del secondo decennio Raffaello stesse sperimentando le ultime possibilità del quadrangolo albertiano, il cui contorno regolare poteva anche identificarsi con le partizioni dell’“architectura picta”, mentre quasi contemporaneamente si stava interrogando su come travalicare quei confini. Se il parapetto evoca la finestra aperta della pittura albertiana, il sonno della giovane, che le impedisce la vista di ciò che è di fronte a lei, sembra piuttosto suggerire una visione interiore della rappresentazione prospettica. La necessità di mettere a dura prova l’efficacia della prospettiva lineare non stupisce in un artista come Raffaello, che certo non si limitava all’elaborazione formale delle immagini, ma investiva consapevolmente il suo tempo nello studio delle strategie della comunicazione visiva di contenuti narrativi e storici complessi. La finestra del disegno agli Uffizi, appena adombrata tramite la soglia del parapetto, offre dunque un esempio inedito e al contempo arricchisce di nuovi significati la tassonomia concettuale della “metafora finestrale” fino a oggi delineata . In aggiunta, la riunificazione in quello stesso foglio di pittura, scultura e architettura sotto il segno del ‘Disegno’ tradisce altre speranze nutrite da Raffaello, circa la possibilità di un superamento dei confini ontologici delle tre arti. Finalmente, gli ornati al verso, richiamando in particolare le esplorazioni spaziali perseguite da Leonardo nel ‘Codice Atlantico’ , mostrano una certa coerenza intellettuale con le riflessioni sulla finestra aperta albertiana. L’icosaedro e il motivo serpentiforme sono così parte integrante dei pensieri in cui si è assopita la giovane, e dei sogni di Raffaello. (Testo tratto da: Marzia Faietti, ‘Il sogno di Raffaello e la finestra di Leon Battista Alberti’ (in Eadem, Gerhard Wolf (a cura di), Linea II. Giochi, metamorfosi, seduzioni della linea, Firenze, Giunti, 2012, pp. 15-29; redazione a cura di Aliventi R.. Si segnala che è in corso di pubblicazione il saggio di M. Faietti, ‘Appunti, progetti, memorie in un disegno di Raffaello agli Uffizi’, in cui la studiosa avanza nuove ipotesi interpretative.)