Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
L’opera naturalistica di Jacopo Ligozzi trova menzione in termini entusiastici sulle pagine della “Biblioteca italiana” e precisamente nella ‘Lettera inedita di Andrea Cesalpino, e notizie intorno al suo erbario che si conserva in Firenze in casa Nencini […]’ . Il botanico bassanese Gian Battista Brocchi, rivolgendosi in una lettera dell’8 marzo 1818 all’amico Giuseppe Moretti, professore di agraria e botanica presso l’ateneo di Pavia, dopo il ragguaglio di tanti pregevoli manoscritti visti a Firenze, dà notizia di “un magnifico codice che si custodisce nella Reale Galleria il quale comprende squisite miniature di animali e di piante. Esso è opera del Ligozzi pittore Veronese […]. Le miniature di questo codice – prosegue Brocchi – sono con tale finitezza lavorate, e con tanta verità rappresentano gli oggetti, che oscurano a parer mio qualsivoglia opera di questo genere, quelle eziandio che col maggior studio e col più ricercato lusso sono state finora pubblicate oltramonti”. Lo studioso ci informa pertanto che nel 1818 l’opera sarebbe già custodita presso la Reale Galleria e precisa che è “in foglio atlantico, ed ha 129 tavole”. Nella prima pagina si legge: “questo libbro è di S. A. Serenissima che sta in guardaroba, e son carte cento ventinove dipinte”. La minuta descrizione, oltre a metterci al corrente che le carte a quella data risultavano ancora rilegate in volume, ci conferma la relazione tra l’originaria legatura e le cifre che compaiono tuttora in alto a destra sul recto di molti esemplari. Della questione, piuttosto complessa, relativa ai passaggi di consegna delle tavole ligozziane da conto Maria Elena De Luca nel saggio “I disegni di Jacopo Ligozzi al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi” (in Firenze 2014, pp. 294-303), cui si rimanda; rimaniamo sulla descrizione lasciata da Brocchi, per il quale “Maravigliosi appaiono sopra tutto gli uccelli, di cui sono con raro artifizio imitate le piume e le gradazioni dei colori” . Soggetti molti apprezzati e ricercati, dunque, tanto che per una sola pernice dipinta dal maestro veronese “pittore gentilissimo di animali e di fiori” furono richiesti ben 70 scudi d’oro . Parte dei “modelli” per questi magnifici animali provenivano verosimilmente dalle voliere granducali – alcuni uccelli raffigurati erano presenti nella residenza di Francesco I a Pratolino –, ricordate anche da Montaigne che visitò la dimora medicea il 22 novembre 1580 . Una grandissima gabbia detta la Voliera, coperta con reti di rame su sbarre di ferro contenente uccelli di tutti i tipi, anche esotici, si trovava in prossimità della Villa, in direzione sud-est, ed era dotata all’interno di una Fontana che serviva per abbeveratoio . La fonte dei disegni va dunque ricercata per lo più nel collezionismo Granducale, sia cartaceo (la circolazione dei modelli tra le varie corti è fenomeno ampiamente documentato), sia naturale (tassidermizzato e non), per il quale voliere e serragli rappresentavano occasioni di infinite meraviglie. Possiamo presumere che Ligozzi, quando possibile, trasportasse alcuni esemplari direttamente nel suo studio in modo da ritrarli con maggior agio. Il resoconto di Aldrovandi del suo secondo soggiorno fiorentino nel 1586, del resto, registra la presenza all’interno dell’“atelier” del maestro veronese di numerose specie di pesci e uccelli . Ligozzi ritrasse volatili dalla provenienza più svariata, sia del Nuovo Mondo, tra i quali l’esotico ‘Pauxi pauxi’ (inv. 1990 O) un Cracide originario dall’America Centrale e Meridionale e da poco tempo noto in Europa, sia più comuni come l’‘Otis tarda’ (inv. 1987 O) che nidifica in Europa e in tutta l’Asia temperata, il più grande tra tutti gli uccelli terrestri europei. L’esemplare nel foglio fiorentino pare una femmina (più minuta del compagno), in quanto priva dei lunghi “baffi” bianchi che il maschio porta ai lati del becco nel periodo della riproduzione. L’interesse di Ligozzi si rivolge anche agli uccelli da preda (inv. 1971 O) e a specie autoctone facilmente osservabili pure in Toscana, come il Cavaliere d’Italia o il Martin pescatore (inv. 1979 O), quest’ultimo già soggetto in un bel disegno di Pisanello oggi parte del ‘Codex Vallardi’ (Paris, Département des Art graphiques, inv. 2509r). L’esotico uccello che giganteggia sulla tavola 1990 O degli Uffizi, visto personalmente da Aldrovandi a Firenze di cui una replica, con alcune semplificazioni, figura anche nelle ‘Tavole di Animali’ di Bologna , è in parte verificabile osservando le parti incompiute, come la zampa destra della Sgarza ciuffetto (inv. 1966 O), dove a una primitiva sottilissima traccia a pietra nera naturale il pittore fa seguire il colore dato a punta di pennello, su una base di prime sommarie stesure di inchiostri colorati diluiti in acqua. Ci sono tuttavia altri aspetti altrettanto interessanti; il primo è l’effetto dell’incidenza della luce sul piumaggio. Come visibile anche sulle tavole che ritraggono i pesci (ad esempio, invv. 2011 O e 2007 O), le piume dei volatili sono mosse da una luce variabile che crea riflessi blu su neri profondissimi. L’effetto, ottenuto mediante infinite variazioni di un unico colore, per molti aspetti paragonabile a scuri velluti, è il risultato di una visione d’insieme magistrale resa possibile dalla straordinaria dote di Ligozzi di passare da una lenticolare minuzia descrittiva a una comprensione globale dell’insieme di forte impatto visivo. Il secondo aspetto concerne la ricercatissima ed elegante “mise en page”, con formule varie: il pittore passa da una collocazione dell’esemplare a piena pagina (invv. 1990, 1987, 1966 O), composto in base a un asse di simmetria centrale o diagonale in grado di renderlo monumentale e di imporsi in rapporto diretto con l’osservatore, all’accostamento tra specie zoologiche e botaniche. Quest’ultima soluzione ricorre in tavole ammirevoli, come nella 1952 O, vero e proprio esempio di “natura viva” dagli esiti tanto naturali quanto studiati. Il Parrocchetto ritratto, con la caratteristica banda colorata sul collo presente solo negli esemplari maschi, è colto nella caratteristica postura con zampa alzata su un ramo di susino nostrano, di cui sono tratteggiate le più minute peculiarità, dalle foglie degradate e compromesse ai frutti maturi e polposi, documentando diverse fasi della vita della pianta. In altri casi gli uccelli risultano affiancati in più esemplari (invv. 1978 O, 1979 O), talvolta senza ragioni scientifiche, altre coerentemente raggruppati in base all’“habitat” naturale, come il Cavaliere d’Italia, il Corriere grosso, il Martin pescatore e la Rana verde, tutti abitatori di paludi e lagune poco profonde , qui riuniti seguendo un ritmo della composizione musicale e bellissimo. (Il testo riprende la scheda di Cristina Casoli pubblicata in Firenze 2014; la revisione del testo per la pubblicazione sul sito del Progetto Euploos è a cura di Aliventi R.)