Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Il disegno raffigurante la 'Morte che disarma la Virtù' presenta un’attribuzione tradizionale a Barbara Sirani, sorella minore della più nota Elisabetta e formatasi come lei presso la bottega di famiglia. Con tale nome, indicato anche in un’antica iscrizione sul verso, il foglio è entrato nelle collezioni degli Uffizi nel 1906 grazie all’acquisto della raccolta del marchese Vincenzo Malvezzi di cui era parte . Lo studio allegorico trova un suo pendant ne ‘La Morte che strappa la corona e il manto alla Poesia’ (inv. 20243 F), che ha la medesima vicenda collezionistica. Ad oggi l’autografia di Barbara, il cui profilo artistico è ancora da indagare, appare molto discussa e sembra affondare “le sue radici su informazioni elaborate dall'erudizione settecentesca bolognese, piuttosto che su dati documentari” o su evidenze stilistiche (Marzia Faietti in Bologna 2004-2005, p. 196). Non si conoscono, infatti, opere grafiche sicure dell’artista e l’unico esempio pittorico di sua mano a noi noto, l’‘Ecce Homo’ nella chiesa bolognese di Santa Maria dei Servi, presenta un “ductus” distante dalla libertà espressiva dei due disegni degli Uffizi (Graziani 2004). Se Barbara fosse veramente l’autrice di questi fogli le si dovrebbe riconoscere un’abilità disegnativa molto vicina a quella della sorella maggiore, alla quale Catherine Loisel in una nota manoscritta sui vecchi montaggi ha ricondotto entrambe le allegorie. Tipico di Elisabetta è l'uso virtuosistico dell’inchiostro diluito, steso con sicurezza e rapidità direttamente sopra alcune indicazioni preliminari a pietra. Alla sua mano è inoltre riconducibile la pennellata sciolta che imposta il gioco di luci e ombre, funzionale alla determinazione della volumetria e del dinamismo delle figure. Anche il tema allegorico rientra nelle sue corde. È nelle opere di tale genere, come in quelle dedicate a eroine delle letteratura, della storia antica o della Bibbia, che la pittrice riuscì a esprimere al meglio le proprie capacità d’invenzione . Sostenitrice, invece, dell’autografia di Barbara è Adelina Modesti , secondo la quale i due fogli sarebbero finalizzati alla realizzazione degli apparati effimeri per le esequie di Elisabetta celebrate il 14 novembre 1665 nella chiesa di San Domenico a Bologna. Per la studiosa, inoltre, nelle fattezze della Virtù e della Poesia si celerebbero ritratti dell’artista prematuramente scomparsa. Sebbene l’iconografia potrebbe adattarsi a un contesto funebre, le due raffigurazioni non risultano menzionate dal biografo Carlo Cesare Malvasia nella sua puntuale descrizione dei vari ornamenti che decoravano la chiesa durante la cerimonia . Allo stesso tempo le iscrizioni poste sotto le allegorie non comprendono nessun riferimento specifico alla morte della pittrice. In realtà i due disegni, per il loro carattere finito e per la presenza di una cornice che delimita le scene, potrebbero essere finalizzati alla realizzazione di stampe. Elisabetta si distinse anche nella tecnica dell'acquaforte appresa nella bottega del padre Giovanni Andrea, a sua volta pittore, dove poté avvalersi di un laboratorio specializzato. In base alla mancanza di prove che riconducano in modo certo il disegno a Barbara e per le evidenti affinità stilistiche con il “corpus” grafico della sorella, la scelta più opportuna è quella di ascrivere, seppur con un certo margine di dubbio, entrambi gli studi a Elisabetta. (Roberta Aliventi 2018)