Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Nel ‘Catalogo’ (1870) della collezione di disegni donata agli Uffizi dallo scultore Emilio Santarelli, il foglio inv. 334 S è descritto tra i disegni di “Pierin Del Vaga” in modo piuttosto generico e inesatto per quanto riguarda la tecnica; viene, infatti, indicato come “Ornamenti idem c.s.”, cioè schizzo a pietra rossa analogamente al disegno di cui si parla appena sopra, anche se in realtà è eseguito a penna e inchiostro. La rimozione del controfondo, avvenuta nel settembre del 2005 in occasione della preparazione di una conferenza per la presentazione a Firenze del volume di studi in onore di Catherine Goguel , ha consentito di scoprire sul verso una Testa virile. Non fu difficile riconoscerne l’autore in Parmigianino e il foglio fu presentato con tale attribuzione, per rendere omaggio alla studiosa che poco tempo prima aveva ravvisato un suo autografo nel Profilo di un uomo di collezione privata parigina, precedentemente ritenuto di Francesco Salviati . L’ascrizione all’artista da parte di chi scrive ricevette, in tale circostanza, unanimi consensi tra gli studiosi di grafica presenti . A mio avviso, comunque, l’interesse del disegno non si esauriva nel fatto di essere un’inedita aggiunta alla produzione grafica dell’artista di Parma; mi sembrava, cioè, che il verso, in particolare, consentisse di riprendere una tematica assai affascinante, come quella del rapporto di Parmigianino con l’antico. Assai complesso risulta il tentativo di circoscrivere con esattezza la cronologia del disegno. La maggior parte degli studiosi che si sono occupati della grafica di Parmigianino non si sono nascosti le difficoltà oggettive riscontrabili nel suo assetto cronologico , con particolare riferimento ai fogli eseguiti a cavallo tra gli ultimi tempi parmensi e il primo periodo romano e tra il soggiorno romano e quello bolognese . A proposito della Testa virile si possono avanzare alcuni raffronti, tali, tuttavia, da non indurre a conclusioni definitive; ad esempio con il Ritratto di Galeazzo Sanvitale del Louvre, databile intorno al 1523-1524 , limitatamente al tratteggio del volto, per quanto più libero e asistematico rispetto alla Testa virile; una sistematicità di tratto è invece presente, ma in modo più incisivo rispetto al nostro foglio, nel Filosofo seduto del British Museum che è stato, infatti, collocato nel periodo bolognese (post 1527) . Restringendo i confronti ad altri disegni legati all’antico e realizzati a penna, mi sembrano situarsi in epoca senz’altro successiva lo Studio di torso maschile del Musée des Beaux-Arts a Besançon, del secondo periodo parmense , nonché il Profilo di Ercole della Royal Library a Windsor, ascrivibile anch’esso al periodo finale dell’attività di Parmigianino . I confronti finora istituiti non sono, dunque, risolutivi per circoscrivere con esattezza la cronologia della Testa virile. Tuttavia, altre considerazioni utili per la sua classificazione possono essere avanzate facendo riferimento al rapporto stilistico tra l’esecuzione da parte di Parmigianino di disegni a penna e la pratica delle incisioni, esercitata direttamente o indirettamente tramite i suoi collaboratori. Popham aveva a suo tempo sottolineato la vicinanza tra la tecnica dei bulini e quella, accuratamente rifinita, della maggior parte dei cosiddetti disegni di presentazione, eseguiti principalmente dopo il rientro a Parma . Accogliendo questa opinione, Pouncey indicò alcuni fogli eseguiti in una sorta di tecnica bulinistica ; in tempi più recenti Ekserdjian individuava disegni da considerarsi a tutti gli effetti “handmade engravings, etchings, and chiaroscuro woodcuts”, come, ad esempio, una penna giovanile con una Donna seduta che sorregge una statuetta di una Vittoria, ora a Cincinnati . In effetti, la gamma delle possibilità espressive di Parmigianino disegnatore investe tre tecniche di stampa, dal bulino all’acquaforte alla xilografia, quest’ultima nella particolare accezione del chiaroscuro. In relazione alla Testa virile, la prima tecnica è certamente quella più calzante. È senz’altro da ricondurre allo stile del bulino la Testa di un giovane uomo al Getty Museum che, nell’andamento della penna, è stata confrontata con il Profilo di uomo scoperto da Monbeig Goguel; quest’ultimo, a sua volta, presenterebbe similitudini, sotto lo stesso aspetto, con l’Autoritratto di profilo dell’Albertina, nonché con l’Autoritratto ora a Chatsworth, effigiato in primo piano su un foglio con studi di Vergini per la Steccata . Rinvia alla tecnica a bulino anche il tratteggio a penna di un Uomo barbato visto di profilo in collezione privata statunitense . Viene da domandarsi quale fosse la destinazione dei fogli menzionati; se autonoma, come sembrerebbe nel caso del primo elencato, che è anche il più rifinito, la Testa di giovane uomo al Getty; oppure finalizzata a eventuali trascrizioni a bulino. Nello Studio di piante palustri degli Uffizi (inv. 501 P) è stata individuata una destinazione per una eventuale incisione ; il foglio è paragonabile, per affinità tematica, a uno Studio di paesaggio e di un vecchio con un bambino oggi a Berlino, dove il brano paesistico copia un dettaglio della Coppia di innamorati e la morte (La passeggiata) di Dürer ; rispetto al foglio fiorentino, qui appaiono linee più spesse, diradate ed energiche, che creano valori chiaroscurali più contrastati e meno sottilmente luministici . Si tratta, in questo caso, di un esercizio finalizzato all’esplorazione delle potenzialità espressive del bulino del grande incisore di Norimberga. Come si vede, finalità e destinazione di tali fogli a penna, eseguiti in uno stile assimilabile alla tecnica bulinistica, possono essere assai diverse tra loro. Per la Testa virile, dove prevale un energico e sintetico segno lineare che, in alcune zone soprattutto, richiama modi bulinistici, si potrebbe pensare a un’esecuzione ancora a Parma, in una tecnica che risponde, sia pure con originalità, ai bulini di Raimondi; oppure, appena approdato a Roma, sotto lo stimolo del mondo classico che si squadernava agli occhi di Parmigianino con molta più dovizia di modelli, in una fase forse ancora precedente la collaborazione con Gian Giacomo Caraglio, che avrebbe di lì a poco incominciato a tradurre a bulino le sue invenzioni, accuratamente studiate in vista della trascrizione incisoria. Il fatto che il disegno derivi da un modello antico che è da riconoscere in un busto a tutto tondo, non contraddice un’esecuzione ancora parmense, ma, come vedremo, altre considerazioni spingono in direzione di una sua posticipazione. Non è stato rintracciato un modello antico esatto; le caratteristiche fisionomiche del personaggio effigiato potrebbero ricondurre a busti con il ritratto dell’imperatore Antonino Pio . Lasciamo per il momento aperta la questione della incerta collocazione cronologica della Testa virile alla vigilia o durante il soggiorno romano, per passare a considerare i modelli antichi noti nella giovinezza dell’artista con l’obiettivo di verificare se essa possa rientrare nella sfera degli interessi documentati prima del 1524 . Tra le fonti giovanili sono stati finora riconosciuti con certezza il Trono di Nettuno, che si è detto con ogni probabilità mediato dall’incisione in controparte di Marco Dente datata 1519 (B. XIV, 194, 242) ; il Torso del Belvedere, forse desunto da modelli in cera ; lo Spinario, probabilmente noto attraverso un bronzetto ; il fregio con un Genio alato e un grifone, già nel Foro di Traiano, oggi al Museo Lateranense in Vaticano . Il Trono di Nettuno potrebbe anche essere stato visionato direttamente a Ravenna, dal momento che l’inclinazione del capo del putto in primo piano nella Donna sorretta da due putti di Londra non richiama da vicino il suo probabile prototipo per la posizione sollevata delle braccia, cioè il putto a destra del Trono, ma il putto a sinistra; in altri termini, Parmigianino sarebbe giunto alla figura disegnata interpolando tra loro liberamente i due putti alle estremità del Trono, con qualche variante rispetto all’incisione; la fortuna straordinaria della serie dei Troni, ripetutamente disegnati, non consente, tuttavia, conclusioni definitive . Parma, pur non disponendo delle antichità di Roma, annoverava un certo numero di collezionisti di monete antiche . Parmigianino documentò tale particolare aspetto collezionistico nel Ritratto di un collezionista alla National Gallery di Londra (1523-1524) : qui, significativamente, fanno la loro comparsa, oltre a quattro monete antiche, un bronzetto, un rilievo pseudo-antico con Venere, Cupido e Marte e un libretto, forse il Libro d’Ore Durazzo miniato da Francesco Marmitta. Questa tipologia di oggetti riflette quanto Parmigianino poteva avere a disposizione a Parma già nel suo primo periodo di attività; del resto, lo stesso tipo di collezionismo si riscontra, per esempio, nella Bologna tardo-bentivolesca, dove operano artisti-antiquari del calibro di Amico Aspertini e collezionisti quali Tommaso dal Gambaro, Jacopo dal Giglio e Cesare Nappi, che raccolsero in particolare lapidi scritte e monete antiche e, soprattutto, l’umanista e poeta Giovanni Achillini, detto il Filotèo. Nella sua ‘Descrittione di tutta Italia’, Leandro Alberti indugia sulla collezione Achillini, dove tra le statue di marmo antiche spiccava “un capo di Tulliola figliuola di Cicerone [...], insieme col capo di Seneca” e non mancavano le più consuete medaglie con le effigi di imperatori, consoli e capitani romani e altri uomini famosi antichi . Non è escluso che anche a Parma Mazzola fosse venuto a conoscenza di un busto su cui esemplare la sua Testa virile. Non è tuttavia d’aiuto in questo caso, per la sommarietà delle descrizioni, l’Inventario del 1561 relativo alle antichità possedute dal Cavaliere Francesco Baiardo, dove effettivamente compaiono diverse teste di metallo e di marmo, di varia grandezza, di cui due barbate . Ci si è chiesti se Parmigianino possedesse qualcuna delle opere elencate . In caso di risposta affermativa, la domanda da introdurre successivamente riguarda l’epoca in cui potrebbe aver incominciato a collezionare antichità; forse a partire dal soggiorno a Roma, dietro la spinta dell’esempio di artisti quali Giulio Romano? Si tratta di quesiti per il momento destinati a rimanere senza risposta. È significativo, però, che nel periodo finale della sua attività, quando i disegni dall’antico sembrano diradarsi, un busto di Giulio Cesare, che si suppone noto attraverso un marmo o un calco, attirasse su di sé più volte l’attenzione dell’artista . Questo soggetto è raffigurato, ad esempio, in un foglio di Windsor, declassato a copia da Popham, ma ultimamente riportato all’attenzione critica come originale, non senza qualche divergenza di opinione . Il foglio serve a comprendere meglio la cronologia, sicuramente antecedente, della Testa virile, di cui, alla luce delle nostre conoscenze sulle antichità note a Parmigianino negli anni iniziali a Parma, non è esclusa un’esecuzione anteriore al soggiorno romano. Altre considerazioni, tuttavia, inducono a posticiparne la realizzazione in ambito romano. È a Roma che l’artista si sofferma sul gruppo scultoreo del Laocoonte, mutuandone soltanto due teste, del Laocoonte e del figlio maggiore, che corrispondono ad altrettanti studi di espressione . Forse ancora a Roma, sollecitato da bulini quali la serie degli imperatori incisa da Marcantonio Raimondi (B. XIV, 372-374, 501-512), potrebbe essersi rivolto a prototipi classici con busti di imperatori; c’è da chiedersi se intendesse ideare egli stesso una nuova serie, profondamente diversa nella concezione da quella raimondiana, da consegnare forse a Caraglio. Si potrebbe pensare che i “Quindeci pezzi di disegni ne quali sono deciotto 18 teste parte col petto, è parte nò, parte di lapis rosso parte d’acquerella, parte di penna è parte di lapis negro grande e picole [...]” descritti nel famoso Inventario Baiardo possano aver costituito, al di là dei formati e delle tecniche differenti, altrettanti studi in vista di una serie di incisioni con ritratti dall’antico. Non abbiamo elementi per poterlo affermare; quel che è certo è che lo studio del busto fiorentino non risulta convenzionalmente celebrativo per la visione quasi di tre quarti e l’intensità dello sguardo che si percepisce osservando le orbite incavate; anzi, appare come un vero e proprio ritratto, per quanto ideale, di un personaggio antico. Una testa come questa, adeguatamente rielaborata, potrebbe aver fornito lo stimolo iniziale per campioni ed eroi della cristianità. Si pensi soltanto al San Paolo nella Conversione di Vienna, che a mio avviso dovrebbe costituire un ante quem; così come al San Rocco in San Petronio a Bologna, eroe cristiano più giovane e patetico, ma ugualmente figlio di una classica progenie. Per questi riferimenti a opere del periodo bolognese, che recano tuttavia i segni di una maggiore maturità stilistica e di una più spiccata originalità espressiva, il disegno venne più probabilmente realizzato a Roma, in una fase in cui l’artista era interessato a indagare le potenzialità grafiche della penna e le sue affinità con la tecnica del bulino, ricercando in certi frammenti dell’antico le origini di una nuova umanità, classica e cristiana insieme. Forse a causa dell’alto livello di dissimulazione delle sue fonti antiche, si è un tempo affermato che il rapporto di Parmigianino con l’antico appare piuttosto superficiale . Ma non è così ; diversamente, la sua conoscenza e l’uso conseguente di modelli classici è solo uno dei livelli in cui si articola il rapporto complesso niente affatto banale dell’artista con il mondo antico. (Tratto da Faietti 2007; redazione di L. Da Rin Bettina, settembre 2022)