Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
La composizione è ispirata al libro terzo dell’Eneide, nel quale Enea racconta a Didone che l’oracolo di Apollo aveva suggerito a lui e agli altri troiani in fuga attraverso il Mediterraneo di cercare la terra da cui proveniva la loro stirpe, misteriosamente definita “antica madre”. Credendo si riferisse a Creta, essi decisero di stabilirvisi (Eneide, III, vv. 73-123). Tuttavia, e questo è il passo che precisamente si rappresenta nel disegno in esame, una volta giunti sull’isola, si abbatté su di loro una terribile pestilenza, che inaridiva anche le piantagioni. Una notte, poi, quando l’eroe dormiva, gli apparvero in sogno i Penati di Troia, rivelandogli che non era quello il luogo dove i troiani dovevano fermarsi. Essi avrebbero dovuto riprendere il viaggio verso l’Esperia, perché là si trovava la nuova patria a loro destinata dal Fato (Eneide, III, vv. 135-171). Il soggetto coincide con quello della stampa tradizionalmente nota come il ‘Morbetto’ o ‘Peste frigia’, ‘Piccola peste pergamena’, ‘Peste cretese’ (B. XIV, 314, 417). La corrispondenza di tutti i dettagli della scena e le misure quasi identiche lasciano ritenere che il disegno sia il modello dell’incisione di Marcantonio Raimondi. Tuttavia, la sua attribuzione a Raffaello è stata per molto tempo messa in dubbio a partire dalla fine dell’Ottocento, quando il grande conoscitore Giovanni Morelli (1890) propose il nome di Perino del Vaga. Si è pensato che il foglio degli Uffizi potesse essere una copia in controparte dalla stampa o da un disegno . Certamente, questa valutazione negativa è stata favorita dalle precarie condizioni conservative, che soprattutto nelle zone dove più abbondanti sono le stesure di inchiostro diluito rendono difficoltoso un giudizio sereno dal punto di vista qualitativo. A ben vedere, però, dove lo studio si è meglio conservato, si notano caratteristiche stilistiche pienamente compatibili con la paternità raffaellesca, che, peraltro, è certamente attestata dalla tradizione inventariale precedente a Morelli, a sua volta fondata, come vedremo tra poco, su una storia assai più antica e, pertanto, degna della massima considerazione . Il disegno in esame, infatti, compare con l’attribuzione a Raffaello nell’inventario del 1849 di Antonio Ramirez di Montalvo (GDSU, ms. 143), l’allora Direttore della Galleria degli Uffizi, il quale lo aveva acquistato dai figli ed eredi di Raffaello Morghen nel 1833; è lecito, inoltre, ritenere che alla fine del Settecento esso si trovasse a Roma nella collezione Albani, come risulta da un inventario dei beni di questa famiglia risalente al 1790, dove è puntualmente descritto uno studio di Raffaello raffigurante la ‘Peste frigia’, analogo per tecnica e misure (Prosperi Valenti Rodinò 1993). Se si accetta tale ipotesi, che, del resto, negli studi recenti non è stata finora mai confutata, si deve ammettere che l’attribuzione a Raffaello del ‘Morbetto’ oggi agli Uffizi è probabilmente il portato di una lunga tradizione storica. Infatti il disegno descritto nell’inventario della collezione Albani del 1790, di cui si è detto, si può identificare con quello visto nel 1703 sempre a Roma da don Vincente Victoria presso il papa Clemente XI Albani e, in base alla stessa fonte, appartenuto in precedenza a Cristina di Svezia, quindi già considerato una preziosa testimonianza dell’opera del “divino” Raffaello nel secolo precedente . Negli studi è stato più volte rilevato che lo sviluppo narrativo del foglio fiorentino del ‘Morbetto’ rispecchia più fedelmente rispetto alla stampa, che è in controparte, la consequenzialità degli eventi narrati nel testo virgiliano (Carolyn H. Wood, in Lawrence (KA)/ Chapel Hill (CAR)/ Wellesley (MASS) 1981-1982). Infatti, considerato che l’occhio inizia a leggere da sinistra, nel disegno, come nel poema latino, esso incontra innanzitutto la scena ambientata all’aperto e in pieno giorno, in cui sono visivamente descritti gli effetti della pestilenza con i cadaveri di esseri umani e animali, mentre dall’altra parte, separato da un’erma posta al centro, in un interno avvolto dall’oscurità notturna, è raffigurato Enea addormentato che riceve in sogno la visita dei Penati. Nella versione incisa l’apparizione delle divinità sembra precedere, invece, il dilagare della pestilenza, dato che la distinzione tra giorno e notte suggerisce l’idea di una sequenza temporale. In considerazione di ciò si è supposto che Raimondi fosse soprattutto interessato a tradurre sulla lastra i raffinati effetti chiaroscurali del modello e che, pertanto, non ne abbia realizzata una copia rovesciata, che avrebbe consentito di mantenere nella stampa la corretta successione degli eventi. Egli, quindi, si sarebbe servito direttamente del disegno fornitogli da Raffaello, danneggiandolo irreparabilmente . Secondo questa teoria le precarie condizioni di conservazione attuali del foglio sarebbero, quindi, una conseguenza del suo utilizzo nel processo di trasferimento sulla lastra. A tal proposito si deve osservare, però, che il degrado materiale riscontrabile nel disegno è stato sicuramente in buona parte provocato dalla sua esposizione prolungata alla luce già in antico, quando presumibilmente era appeso a parete, come lascia ritenere la presenza di una “Cornice nera e due giri di intagli dorati con vetro avanti”, registrata nell’inventario di casa Albani di fine Settecento (‘Il cardinale Alessandro Albani e la sua villa. Documenti’, a cura di Michela di Macco et alii, Roma 1980, p. 62). Recentemente Edward H. Wouk (2016, p. 59) ha rilanciato l’idea che Raffaello potrebbe avere volutamente ricercato un rovesciamento del disegno nella stampa in modo che la scena del sogno di Enea con i Penati risultasse alla sinistra, assegnandogli quindi il ruolo di fulcro di tutta la composizione. Secondo Wouk tale scelta potrebbe essere stata in parte favorita dalla tradizione figurativa precedente, testimoniata in primo luogo dall’illustrazione dello stesso episodio dell’‘Eneide’ contenuto nell’edizione del poema virgiliano a cura di Sebastian Brandt, pubblicata a Strasburgo nel 1502, dove si ritrova la stessa disposizione nello spazio figurato con il sogno di Enea alla sinistra . Lo studioso, inoltre, nell'ambito dello stesso saggio interpreta l’annuncio dei Penati e la decadenza causata dal morbo, simboleggiata tra l’altro da frammenti di colonne antiche giacenti a terra, come un'esortazione a realizzare una piena ‘renovatio’ della grandezza passata di Roma. In questo senso, la fine resa dei passaggi chiaroscurali dall’oscurità notturna alla luce del giorno sarebbe funzionale a suggerire allo spettatore l’idea di un nuovo inizio, che tuttavia non si è ancora realizzato. Questi temi potrebbero richiamare alcuni dei contenuti della lettera a Leone X, scritta da Raffaello con l’aiuto di Baldassarre Castiglione, in cui si trova una perorazione in favore della conservazione delle rovine classiche emergenti dal sottosuolo, anche se un collegamento stretto è in parte ostacolato dalle incertezze sulla cronologia, che per il disegno prevede una datazione intorno al 1512-1513 circa, in virtù delle affinità stilistiche con lo studio preparatorio per l’affresco con la ‘Liberazione di san Pietro’ sulle pareti laterali della Stanza di Eliodoro (GDSU, inv. 536 E, Oberhuber K./ Ferino Pagden S./ Huber E. W. 1983, p. 623, n. 448 link ), mentre per la stampa accetta un range più ampio, compreso tra il 1512 e il 1516, termine ante quem . Si deve tenere conto, inoltre, che a queste date in Raffaello emerge un sempre crescente interesse per l’antico, riguardante in particolar modo le testimonianze archeologiche della classicità, che egli intendeva studiare e documentare . Non a caso nel ‘Morbetto’ si possono individuare precisi rimandi a testi figurativi antichi finalizzati a creare un’immagine perfettamente confacente al tipo di soggetto, tra i quali si deve ricordare, innanzitutto, il ‘Virgilio Vaticano’, manoscritto miniato tardo antico da cui Raffaello potrebbe avere tratto ispirazione soprattutto per quanto riguarda la scena del sogno di Enea e che sembra in questo periodo fosse nelle mani di Pietro Bembo. Tra i possibili richiami archeologici, inoltre, si può menzionare quello all’’Amazzone’ del gruppo del piccolo donario pergameno, all’epoca da poco venuto alla luce a Roma, nella madre esanime in primo piano con il figlio, che sarebbe, dunque, la prima testimonianza di questa famosa scultura antica in un’opera d’arte moderna . Si consideri, poi, che lo scorcio paesaggistico alla sinistra nel disegno è sicuramente in relazione con uno studio di paesaggio con rovine antiche oggi a Windsor Castle (inv. 0117, Oberhuber K./ Ferino Pagden S./ Huber E. W. 1983, p. 624, n. 450), eseguito da Raffaello probabilmente traendo spunto da una veduta reale dei fori romani, anche se non è possibile individuare alcun elemento riconducibile in particolare a uno di essi. Non si direbbe che tale composizione, in virtù della tecnica esecutiva e delle sue caratteristiche formali, sia stata realizzata con il preciso intento di preparare la stampa del ‘Morbetto’, rispetto alla quale è anch’essa in controparte, ma sembra, piuttosto, che costituisca una creazione autonoma, rielaborata poi nel foglio degli Uffizi con alcune modifiche. Quel che è certo è che a Windsor si trova un altro schizzo di Raffaello (inv. 12735 verso; Oberhuber K./ Ferino Pagden S./ Huber E. W. 1983, p. 626, n. 480), meno elaborato del precedente nella tecnica e finalizzato a fissare rapidamente un’idea, raffigurante mucche stese a terra, che richiamano nel realismo della rappresentazione le scene di animali morti del ‘Morbetto’, come il cadavere di un cavallo abbandonato sulla strada che sale verso le case sullo sfondo. In conclusione, si può aggiungere che l’attenzione con cui Raffaello ha isolato le emozioni dei vari personaggi mediante la resa delle diverse attitudini e la loro studiata disposizione spaziale, in modo da guidare lo spettatore verso la comprensione del contenuto, oltre a costituire una puntuale applicazione delle raccomandazioni di Leon Battista Alberti contenute nel ‘De pictura’ (1435), nasce anche dall’intento dell’artista di realizzare un tipo di eloquenza per immagini improntata su precisi modelli letterari, in accordo con le teorie estetiche dei circoli umanistici legati a Leone X. Sappiamo, infatti, che Raffaello, innanzitutto, ammirava lo stile di Francesco Petrarca, a quest’epoca considerato supremo esempio di ‘grazia’ e certamente noto all’artista, dato che si era cimentato in componimenti poetici petrarcheschi; ma è probabile che in questo caso egli intendesse in qualche misura dialogare a distanza proprio con Virgilio, autore da lui più volte evocato nel contesto della Roma leonina, da cui aveva desunto il soggetto del ‘Morbetto’ e con il quale aveva necessariamente dovuto confrontarsi per riuscire a mediare il racconto poetico dell’‘Eneide’. Del resto, qualche anno più tardi Ludovico Dolce nel ‘Dialogo della pittura’ (1557) stabiliva un parallelismo tra la ‘facilitas’ dell’Urbinate e lo stile di Virgilio e Cicerone tra gli autori antichi e quello di Ariosto e dello stesso Petrarca tra i moderni . Si segnala, infine, che presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi si conserva una copia parziale antica della stampa del ‘Morbetto’ (GDSU inv. 1348 F, cfr. Ferino Pagden in Firenze 1984 link ). (Raimondo Sassi, settembre 2023)