Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Il disegno principale sul foglio in esame costituisce uno studio preparatorio di Raffaello per la figura di Adamo nell’affresco raffigurante la ‘Disputa del Sacramento’ nella Stanza della Segnatura, la prima decorata dall’artista nel nuovo appartamento voluto da Giulio II in Vaticano . Raffaello, giunto a Roma verso la fine del 1508, si trovò a condividere l’incarico per questa stanza con il Sodoma e il fiammingo Johannes Ruysch. Secondo Vasari, però, Giulio II, visti i primi risultati del suo lavoro, decise di affidare a lui solo l’esecuzione dell’opera, licenziando gli altri artisti . La cronologia degli affreschi della Stanza della Segnatura rimane tutt’oggi argomento di discussione in sede critica. Lo schizzo nell’angolo sinistro del foglio in esame con la ripartizione geometrica di una superficie avvalora l’ipotesi che Raffaello, mentre era impegnato nella realizzazione della ‘Disputa’, riflettesse sull’organizzazione spaziale della decorazione della volta e ciò ne confermerebbe la conclusione dopo l’esecuzione del grande affresco . Le raffigurazioni sulle pareti e sulla volta della stanza documentano il momento dell’incontro tra l’ideale umanistico di armonia universale che affascinava la mente di Raffaello e la concezione ecumenica della chiesa promossa nella Roma di Giulio II, prima che la divisione prodotta dalla Riforma luterana rendesse evidente l’impossibilità di controllare le preponderanti tensioni centrifughe di natura religiosa. Stando a quanto riferito da Paolo Giovio, Giulio II era personalmente interessato alla decorazione dell’appartamento e probabilmente svolse un ruolo attivo nell’elaborazione del programma iconografico generale, che avrebbe dovuto fornire una concreta rappresentazione della missione spirituale e temporale del suo pontificato . La ‘Disputa del Sacramento’, in particolare, appare una rappresentazione estremamente dotta, che si pone come ‘summa’ delle concezioni teologiche dell’epoca. Raffaello, quindi, dovette necessariamente seguire le indicazioni fornite dai teologi della corte papale, ma dimostrò di essere in grado di organizzare una materia complessa, fornendo un apporto personale sul piano propriamente intellettuale. A lui spetta sicuramente il merito di aver saputo comunicare il messaggio dell’opera coinvolgendo lo spettatore anche dal punto di vista emotivo, commuovendolo attraverso il senso di armonia che pervade lo spazio figurato e la sapiente resa degli affetti . Il foglio degli Uffizi appartiene a una fase avanzata nella preparazione dell’affresco quando, affrontati i problemi legati alla composizione, Raffaello si sofferma ad analizzare la posa delle singole figure attraverso lo studio da un modello vivente . Il punto di vista di tre quarti dal basso nonché la posizione delle gambe e del braccio destro si ritrovano nella relativa figura della ‘Disputa’. Rispetto al dipinto, però, la schiena sembra leggermente più incurvata, si nota una più marcata torsione del collo e una diversa inclinazione della testa, che nel disegno è definita in modo piuttosto sommario. Al contrario le masse muscolari nel resto della figura sono rilevate con attenzione attraverso un fitto tratteggio a linee ora parallele ora incrociate, estremamente morbido e preciso, che vuol suggerire l’articolazione in profondità dei piani. Anche il delineamento del contorno colpisce per forza costruttiva ed esatta definizione dei particolari. Lo stile grafico indica come l’artista già nei primi tempi del soggiorno romano si fosse informato sulle nuove creazioni di Michelangelo, che stavano prendendo forma nella Cappella Sistina, a pochi metri dal cantiere raffaellesco. Il confronto stilistico con un foglio dell’Albertina che presenta uno studio per un ‘Ignudo’ (inv. 120.R.142) evidenzia come l’Urbinate, se ancora non aveva potuto vedere gli affreschi della volta eseguiti fino a quel momento, doveva però conoscere gli studi preparatori. Il disegno di Michelangelo, infatti, presenta forti analogie nella condotta grafica, nella resa della muscolatura e nel minore interesse per la definizione particolareggiata del volto . Sia nell’elaborazione della figura di Adamo sia nello studio per l’‘Ignudo’ dell’Albertina si avverte la ricerca di un sistematico confronto con l’antico, tema carico di significato nella Roma di Giulio II, quale segno di continuità storica e morale con quel passato. Tale intento è dichiarato nell’Adamo, oltre che da un preciso riferimento alla celebre statua dello Spinario, nella scelta programmatica di rappresentare il corpo nudo e nella resa idealizzata del volto, sull’esempio della scultura greca e romana. Nell’attitudine del volto rivolto verso l’alto, inoltre, è stato ravvisato un rapporto con il cosiddetto ‘Alessandro morente . Del resto, la gamba maschile studiata sul verso, a fianco di una figura seduta probabilmente preparatoria per uno dei personaggi della ‘Disputa’ assisi sulle nuvole, è stata posta in relazione con l’‘Apollo del Belvedere’ . In realtà, per quest’ultimo disegno appare più possibile al massimo un generico richiamo a modelli di ascendenza lisippea, per la posa della gamba scartata , mentre risulta più stringente il confronto con alcuni studi anatomici di Leonardo, oggi presso la Royal Library di Windsor e databili ai primi anni del Cinquecento . A maggior ragione se si considera che il rimando a Leonardo trova conferma, come si vedrà tra poco, nell’analisi del foglio nel suo complesso. Sia Raffaello che Michelangelo, come dimostra per esempio lo studio per la volta della Cappella Sistina precedentemente citato, si servono dell’antico per filtrare il dato naturale e trasporlo su un piano propriamente ideale, secondo i principi formulati per primo da Leon Battista Alberti. Tuttavia, se nel disegno michelangiolesco dell’Albertina prevale un senso di monumentale drammaticità, nella figura di Adamo, l’uomo che per primo diventa consapevole della complessità della propria natura, si nota un più dolce atteggiamento meditativo come arreso alla propria incompletezza. L’intenzione introspettiva, che guida la disposizione delle membra secondo il dettato albertiano, non è intesa da Raffaello come rappresentazione di un dissidio interiore senza fine, connaturato all’essere umano, ma è il frutto di una concezione meno rigida, che guarda al modo di rappresentare gli affetti di Fra Bartolomeo ed è informata della teoria dei moti dell’animo, immersi nel fluire della natura, elaborata da Leonardo . Sappiamo del resto quanto la conoscenza diretta dell’opera dell’artista di Vinci abbia esercitato un importante ascendente sull’Urbinate già nel periodo fiorentino e come all’epoca degli affreschi della Stanza della Segnatura il portato di questa esperienza in lui fosse ancora particolarmente vivo. A queste date i riferimenti leonardeschi ricorrono spesso nell’opera di Raffaello: non solo la composizione della ‘Disputa’ non sarebbe pensabile senza un’approfondita conoscenza di testi come l’incompiuta ‘Adorazione dei Magi’ , ma anche nel riquadro della volta con la ‘Tentazione’ l’artista riutilizzò per la figura di Eva un modello desunto da un disegno o da un cartone di Leonardo oggi perduto e da lui già ripreso nella ‘Leda’ del foglio di Windsor . Nella figura di Adamo il chiaroscuro avvolge morbidamente il corpo senza creare stacchi, tanto che anche sotto la coscia destra, dove l’ombra si addensa nel groviglio delle mani, filtra la luce e il tratteggio stabilisce con lo spazio circostante un fluido rapporto in accordo con le teorie di Leonardo. Il ragionamento può spingersi anche più avanti se si considera come la caratteristica posizione delle gambe accavallate, a indicare raccoglimento e meditazione, richiami il tipo leonardesco del ‘San Giovanni Battista’ del Louvre, conosciuto, forse, da Raffaello attraverso un disegno o un cartone durante il suo periodo fiorentino . Una potenziale conferma del fatto che Raffaello abbia effettivamente attinto a questa fonte lo spunto per il suo Adamo viene dalla versione definitiva della figura nell’affresco, che, al di là degli adattamenti resi necessari dalle esigenze della composizione, ha perso qualcosa dell’idealizzazione riscontrata nel disegno e i tratti maggiormente caratterizzati del volto sembrano discendere da esempi leonardeschi, piuttosto che dalla statuaria antica. Il foglio degli Uffizi, dunque, mostra come Raffaello nella fase preparatoria dell’affresco utilizzi lo stile in modo funzionale, preferendo la maniera di Michelangelo nel caso dello studio di una figura isolata, dove intende confrontarsi direttamente con il modello ideale antico. Allo stesso tempo il disegno evidenzia come l’artista abbia profondamente assimilato la lezione di Leonardo, in virtù della quale può realizzare un’armoniosa fusione di ogni singola figura all’interno della composizione tramite l’uso del chiaroscuro e la resa degli stati d’animo. Pertanto, l’operazione di “vivificazione delle statue antiche”, che, come ha scritto Ortolani , caratterizza l’arte romana di questo periodo, per Raffaello all’inizio del suo soggiorno nella città papale è intimamente connessa alla riflessione da lui condotta sulla teoria dei moti interiori di Leonardo. (Raimondo Sassi 2016)