Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi
Il foglio entrò a far parte delle collezioni di Cosimo III de’ Medici nell’ottobre del 1699 attraverso il lascito del segretario granducale Apollonio Bassetti (Elenco Bassetti 1699, ASF, Guard. 1026, cc. 156-167). Dalla lettura dei documenti si evince che già a quell’epoca era ritenuto autografo di Andrea del Sarto e veniva conservato sotto vetro e all’interno di una cornice in legno dipinto e dorato, informazione quest’ultima che lascerebbe supporre fosse destinato all’esposizione in parete. L’opera appare nuovamente citata negli inventari settecenteschi delle “preziose antichità” conservate presso le Gallerie medicee (Inventario 1704-1714, BU, ms. 82; Inventario 1753, BU, ms. 95; Inventario 1769, BU, ms. 98), dove la si ritrova sempre munita di “ornamento”, ovvero incorniciata. Sul finire del Settecento Giuseppe Pelli Bencivenni (1775-1792, BU, ms. 463, ins. 4 e ins. 10) menziona il foglio tra i ‘Disegni appesi alle pareti del Gabinetto’; d’altra parte ancora all’inizio del Novecento esso compare all’interno del nucleo di opere grafiche degli Uffizi selezionate per essere fruite pubblicamente (Ramirez di Montalvo 1849; Lagrange 1862; Ferri 1895-1901, GDSU, coll. 72). La costante e secolare esposizione del disegno è dunque da ritenersi una delle cause delle precarie condizioni conservative nelle quali versa attualmente. La tradizionale indicazione attributiva al Sarto venne accettata in un primo momento anche da Pasquale Nerino Ferri (Ferri, scheda storica) il quale però, accogliendo in un secondo momento l’opinione di Bernard Berenson (1903), finì per riclassificare l’opera in favore di Francesco di Cristofano detto il Franciabigio, artista vicino agli ambienti sarteschi. A ricondurre il foglio alla sua corretta autografia fu Sidney Joseph Freedberg (1963) che, non riscontrandovi convincenti confronti con i consueti linguaggi grafici del Franciabigio, trovò invece maggiori concordanze con alcuni dipinti di Andrea, come ad esempio lo ‘Sposalizio di santa Caterina’ della Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda (inv. 76) eseguito dal maestro toscano tra il 1512 e il 1513 . Susan McKillop (1974) a sua volta rimosse il foglio dal catalogo del Franciabigio confermando l’attribuzione ad Andrea del Sarto, ma rispetto alla proposta di Freedberg avanzò un paragone stilisticamente e cronologicamente forse più calzante suggerendo la pala del ‘Noli me tangere’, che era stata dipinta tra il 1509 e il 1510 per il convento agostiniano di San Gallo a Firenze (Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture, inv. 1890 n. 516, link ) . Nel disegno la particolare resa volumetrica riservata alla robusta massa anatomica della Madonna si manifesta infatti in maniera del tutto analoga a quella della Maddalena riprodotta nel dipinto; allo stesso modo il diffuso sfumato atmosferico che si percepisce nell’opera pittorica, di chiara derivazione leonardesca, trova nel foglio in esame una perfetta traduzione grafica, ottenuta in questo caso attraverso delicate stesure a pietra nera apprezzabili soprattutto in corrispondenza delle aree di chiaroscuro. Ulteriori confronti, utili a collocare correttamente il nostro disegno all’interno della parabola artistica di Andrea, sembrano provenire anche dal suo ricco catalogo grafico. Il foglio inv. 273 F, sempre al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi e realizzato dal Sarto entro il 1512 per l’‘Annunciazione’ della Galleria Palatina di Firenze (inv. 1912 n. 124) , permette di apprezzare nuovamente la cifra stilistica dell’artista agli esordi del secondo decennio del Cinquecento. Anche in questo caso infatti il poderoso angelo annunciante dell’inv. 273 F rispecchia la monumentalità della Madonna dell’inv. 638 E. Sia la generale compiutezza esecutiva del disegno in esame, sia la completezza della scena raffigurata, in strettissimo dialogo con le composizioni di matrice raffaellesca di analogo soggetto (Cordellier 2015) – e unita al non casuale formato circolare – darebbero adito all’ipotesi che si possa trattare di un primo modello destinato all’esecuzione di un dipinto. Seppure non si conoscano opere direttamente accostabili all’intera raffigurazione, il gruppo della Vergine con Gesù bambino è ripreso quasi integralmente nella tavoletta della ‘Madonna dell’umiltà’ alla Galleria Palatina (inv. OdA 1911 n. 1154) . Il piccolo dipinto, registrato sotto il nome di Andrea già negli inventari sei e settecenteschi delle raccolte medicee, viene a lui riconfermato dopo un lungo periodo di anonimato da Serena Padovani, grazie anche al confronto con il foglio degli Uffizi (Padovani 1986). La studiosa propone per la ‘Madonna dell’umiltà’ una datazione compresa tra il 1513 e il 1514, riscontrando analogie stilistiche con l’affresco della ‘Natività della Vergine’ del Chiostrino de’ Voti nella chiesa fiorentina dell’Annunziata. Tale cronologia viene confortata dagli evidenti riferimenti al linguaggio pittorico del Rosso Fiorentino presenti nell’opera, soprattutto nel volto della Vergine. L’accertata influenza che il giovane Rosso esercitò sul poco più anziano maestro, con il quale entrò in contatto nel cantiere dell’Annunziata tra il 1511 e il 1513 , trova infatti riscontro all’interno di un gruppo di dipinti , tra i quali annoveriamo anche la ‘Madonna dell’umiltà’, eseguiti appunto da Andrea tra il 1513 e il 1514, come ad esempio il già citato ‘Sposalizio’ di Dresda oppure ‘l’Arcangelo Raffaele con Tobiolo e San Leonardo’ del Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. Gemäldegalerie, 182, link ) . Il disegno in esame, come si è già potuto constatare e come ha ribadito di recente Alessandro Cecchi (in Padovani 2014), dovrebbe però appartenere a un’epoca leggermente meno avanzata rispetto a quanto proposto per il dipinto della Palatina. Per questo motivo resta plausibile ipotizzare che il foglio, eseguito probabilmente non oltre il 1511, fosse conservato da Andrea per essere parzialmente utilizzato come modello alcuni anni dopo (Grasso in Tokyo 2014). (Michele Grasso 2016)