Progetto Euploos

Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi

Scheda Catalogo "6567 S"

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Scheda aggiornata al 30-07-2024
Opera 6567 S
  • inv. 6567 S
  • Rosa Salvatore (1615/ 1673)
  • Testa d'uomo rivolta a destra
  • Categoria: Santarelli
  • Datazione: sec. XVII
  • Tecnica e materia: pietra nera naturale, pietra rossa naturale, gessetto bianco, pastello rosa, pastello bruno su carta grezza
  • Misure: 318 x 270 mm
  • Stemmi, emblemi, marchi:
    timbro a inchiostro di collezione: Reale Galleria degli Uffizi (Lugt 929) sul recto in basso a sinistra
    timbro a inchiostro di collezione: Emilio Santarelli (Lugt 907) sul recto in basso a destra

Iscrizioni

  • S. Rosa: "Salvator Rosa donò alla più/ bella Dama di suoi Tempi", a penna e inchiostro sul verso al centro a sinistra
  • autore ignoto: "6567", a matita sul recto in basso a destra
  • autore ignoto: "40", a matita sul recto in basso a sinistra

Notizie storiche e critiche

Il disegno è con ogni probabilità eseguito in coppia con il ‘Busto maschile rivolto a sinistra’, inv. 6568 S, con il quale ha in comune il punto di stile, la ricerca di un effetto cromatico attraverso l'uso combinato della pietra rossa, della pietra nera e del gessetto bianco, oltre che la scelta del medesimo supporto cartaceo. Entrambi recano sul verso la stessa iscrizione “Salvator Rosa donò alla più / bella Dama di suoi tempi”, emersa nel marzo 2012 dopo il distacco dal controfondo. Rosa raffigura un volto maschile di profilo con lo sguardo assorto e pensieroso rivolto in basso; l’uomo ha il capo scoperto, la chioma e la barba scure e ricciolute, la fronte rugosa e il collo cinto da un ampio colletto. Nell'inv. 6568 S vediamo invece una figura di spalle con il capo coperto da un turbante bianco, la fronte corrugata, il viso sbarbato, le labbra contratte in una smorfia e lo sguardo pensieroso. Il braccio sinistro è proteso e possiamo ipotizzare che la mano, tagliata e dunque visibile solo in parte, fosse in atto di reggere o indicare qualcosa. Michael Mahoney, nel catalogo dei disegni del napoletano pubblicato nel 1977, riunisce le teste di fantasia proponendo una collocazione subito dopo il periodo fiorentino (1640-1648), quando Rosa si trasferì definitivamente a Roma, sulla base del confronto con le teste dipinte tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta. La cronologia suggerita da Mahoney è condivisa da Helen Langdon , che ribadisce l’affinità tipologica e quindi cronologica tra le teste su carta e quelle su tela. A conferma di quanto proposto dai due studiosi è possibile accostare il nostro “pendant” a un celebre dipinto conservato alla Galleria Palatina di Firenze, ‘La menzogna’ (o ‘Plauto e Terenzio’): riconosciamo gli stessi toni chiari e neutri, lo sfondo luminoso, i protagonisti, che possono essere interpretati come dei filosofi o letterati, presentano fisionomie assimilabili. La ricerca di un effetto cromatico su carta, insolita per l’artista, manifesta chiaramente la volontà di confrontarsi con la tradizione del ritratto baroccesco, perfettamente collocabile all’inizio del periodo romano (1649-1673): Rosa sentiva la necessità di emergere nel competitivo contesto artistico dell’Urbe e lo fece cercando soluzioni inedite, non solo nella scelta dei soggetti (si pensi ad esempio a 'La crocifissione di Policrate' e al 'Martirio di Attilio Regolo', vedi schede inv. nn. 6598 S e 6599 S) ma anche, come vediamo qui, nella sperimentazione di tecniche diverse. Il disegno servì per studiare pose e composizioni, ma nel “corpus” grafico dell’artista è anche ben rappresentata una produzione autonoma costituita da fogli con soggetti ricercati o dai significati difficilmente decifrabili, certamente destinati ai suoi amici e committenti. Mahoney sottolinea come questo genere di disegni fosse alieno dal “modus operandi” rosiano ed esclude la possibilità che possa trattarsi di studi preparatori e propone di interpretarli come fogli di presentazione. A nostro parere appare riduttivo accogliere tale definizione, dal momento che sappiamo quanto Rosa rifiutasse lavorare su commissione, ancor più nel caso di soggetti relativamente semplici come delle teste di fantasia. Se proprio vogliamo accettare l’idea della “presentazione”, dobbiamo intenderla in modo più ampio, nel senso del desiderio di dimostrare le sue doti artistiche a un presunto committente. La presenza dell’iscrizione dedicatoria ci spinge piuttosto a definirlo un dono, probabilmente pensato per uno dei membri della sua ristretta cerchia di amici. Non abbiamo elementi per definire chi potesse essere la “dama” destinataria del “pendant” e la lettura dell'epistolario non aiuta in questo; ci piace però immaginare che la dedica sia da interpretare come una sorta di scherzo rivolto a un uomo, magari lo stesso Giovan Battista Ricciardi (1623-1686), erudito pisano fedelissimo amico di Rosa. È una lettera del gennaio 1652 inviata a Ricciardi a suggerire questa ipotesi di lettura: “Mi rallegro sentire che dopo un diluvio di pioggie sia giunta a salvamento la mia carissima Colombina. Oh quanto volentieri, Ricciardi caro, propongo alla mente i diletti di quel Carnevale di genio così conforme, di conversazione sì geniale. Oh miseria, mi bisogna rimuscinare il passato per sentire qualche scentilla di piacere nel presente”. Durante il soggiorno fiorentino l'artista aveva l'abitudine di riunirsi con i suoi amici toscani per recitare durante il Carnevale, ma, come di consueto per l'epoca, le donne non potevano fare le attrici e le parti femminili erano interpretate da uomini. Che l'amico pisano fosse dunque la “carissima Colombina” e allo stesso tempo la “più bella Dama” è ipotesi che appare quanto mai suggestiva. Lo stesso Ricciardi possedeva dei ritratti a matita esposti entro cornici , con ogni probabilità donati dall'artista, mentre il banchiere e mercante d’arte Carlo De Rossi (?-1683), grande collezionista di opere rosiane, esponeva nel suo appartamento: “Un pastello in Carta di misura meno che mezza testa d’una testa di Donna in profilo con vetro d’avanti di mano di Salvatore Rosa” . “Due teste disegnate a lapis rosso e nero” e due “Teste di lapis rosso e nero” di Salvator Rosa, provenienti dalla collezione di Niccolò Ricciardi Serguidi (forse imparentato con Giovan Battista), furono scelte per la mostra organizzata dalla fiorentina Accademia del Disegno nel 1767 . Il “pendant”, per il quale non si può escludere una provenienza dalla collezione Ricciardi Serguidi, fu donato agli Uffizi nel 1866 dallo scultore fiorentino Emilio Santarelli, insieme alla sua raccolta di disegni. Come deduciamo dagli inventari appena citati, fogli come i nostri facevano parte dell'esposizione domestica, non erano protetti all'interno di album e perciò risultano particolarmente compromessi. Crediamo che, nonostante il loro problematico stato conservativo, i due disegni siano di grande interesse e vadano riportati all'attenzione della critica, insieme alla meno studiata produzione grafica autonoma, perché risultano fondamentali per cogliere le diverse sfaccettature della personalità artistica rosiana. (Angela Fiume 2014)

Bibliografia

  • Santarelli E./ Burci E./ Rondoni F. 1870
    Santarelli E./ Burci E./ Rondoni F., Catalogo della raccolta di disegni autografi antichi e moderni donata dal prof. Emilio Santarelli alla Reale Galleria di Firenze, Firenze, 1870, p. 423 n. 40
  • Mahoney M. (1965) 1977
    Mahoney M., The Drawings of Salvator Rosa, New York/ Londra, (1965) 1977, Ph.D. Diss. London University 1965, v. I pp. 362-363 n. 31.8, v. II fig. 31.8
Questa Opera inv. 6567 S è presente nel catalogo manoscritto della Collezione di Emilio Santarelli (1801 - 1886) ed è possibile sfogliare on-line il manoscritto originale digitalizzato da questo indirizzo: Donazione Santarelli on-line - pag. 244
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